Così si internazionalizza l’economia cinese

Così si internazionalizza l’economia cinese

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Uno degli aspetti più rile­vanti del nuovo modello di espan­sione dell’economia cinese riguarda il mutato respiro che ten­dono ad avere i pro­cessi di inter­na­zio­na­liz­za­zione. La pre­mi­nenza data in pas­sato a un modello che met­teva in prima linea il com­mer­cio con l’estero, gli inve­sti­menti stra­nieri in patria, l’impiego di una parte rile­vante delle liqui­dità in titoli sta­tu­ni­tensi, lascia ormai il passo ad un pro­cesso molto più complesso.

Esso vede, tra l’altro, una forte cre­scita degli inve­sti­menti all’estero, la crea­zione di una vasta rete di strut­ture finan­zia­rie regio­nali e glo­bali per lo svi­luppo, il pro­getto di una nuova via della seta, una inter­na­zio­na­liz­za­zione del set­tore ban­ca­rio e assi­cu­ra­tivo, l’abbattimento delle bar­riere ai movi­menti di capi­tale insieme alla cre­scita in pre­mi­nenza dello yuan.

Men­tre la cre­scita delle espor­ta­zioni ral­lenta, la spinta degli inve­sti­menti esteri acce­lera. Prima essi erano mirati soprat­tutto verso il set­tore ener­ge­tico e delle mate­rie prime, men­tre oggi diven­tano impor­tanti i pro­getti infra­strut­tu­rali, men­tre aumenta l’interesse per le imprese che pos­sie­dono delle tec­no­lo­gie avan­zate e per il set­tore delle infra­strut­ture finanziarie.

Par­ti­co­lar­mente toc­cato da que­sta acce­le­ra­zione appare il nostro con­ti­nente (Jones, Ander­lini, 2015); nel 2014 essi vi hanno toc­cato i 18 miliardi di dol­lari, un livello dop­pio di quello del 2013, men­tre il 2015 si annun­cia già una nuova acce­le­ra­zione. Nello stesso anno 2014 è la Gran Bre­ta­gna ad avere rice­vuto gli importi più rile­vanti, con 5,1 miliardi, men­tre il nostro paese si col­loca al secondo posto con 3,5. Ma anche i primi dati del 2015 segnano un forte inte­resse per l’Italia: si veda il caso Pirelli. La Cina sem­bra par­ti­co­lar­mente inte­res­sata alle imprese tec­no­lo­gi­che, ma diver­si­fica gli impie­ghi, con il set­tore immo­bi­liare, non­ché quelli ali­men­tare e della finanza.

Negli ultimi anni sono cre­sciuti in misura rile­vante gli inve­sti­menti immo­bi­liari dei pri­vati e degli inve­sti­tori isti­tu­zio­nali (Ander­lini, 2015). La Gran Bre­ta­gna, l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti, son le desti­na­zioni più get­to­nate. I fat­tori che spie­gano la ten­denza è l’enorme sovra­ca­pa­cità e il ral­len­ta­mento del mer­cato cinese, non­ché il col­lasso nei prezzi in molti paesi occi­den­tali. Le restri­zioni del governo, il dete­rio­ra­mento ambien­tale, i ser­vizi sociali non ade­guati e la lotta alla cor­ru­zione in patria spin­gono molti ad acqui­stare una resi­denza all’estero anche con la pro­spet­tiva di emigrarvi.

Dall’aprile del 2013 al marzo del 2014 i cinesi sono stati così all’origine di circa il 25% di tutti gli acqui­sti immo­bi­liari stra­nieri negli Stati Uniti, spen­dendo circa 22 miliardi di dol­lari, il dop­pio dell’anno precedente.

Tali flussi di denaro stanno pro­vo­cando però pro­te­ste cre­scenti tra la popo­la­zione di diversi paesi, per l’aumento dei prezzi degli acqui­sti e degli affitti in loco. Così i governi stanno intro­du­cendo impo­ste mirate agli acqui­renti stra­nieri; le sta pro­gram­mando l’Australia, ma lo hanno già fatto Sin­ga­pore e Hong Kong, men­tre qual­che vin­colo è stato anche intro­dotto dal governo bri­tan­nico.
Per dimen­sioni le prime quat­tro ban­che cinesi sono le mag­giori del mondo. Sino a ieri le loro atti­vità estere erano molto ridotte, ma il sistema è ora in piena inter­na­zio­na­liz­za­zione. Così la Icbc ha aperto delle filiali in una quin­di­cina di piazze europee.

Insieme alle ban­che, il pro­cesso sta inve­stendo anche altri set­tori dell’industria finan­zia­ria in senso lato. Le società di assi­cu­ra­zione, i bro­ker di borsa, gli asset mana­ger sono alla ricerca di acqui­si­zioni all’estero (Noble, Widau, 2015).

L’obiettivo di tale espan­sione sem­bra essere quello di pre­pa­rare le infra­strut­ture all’estero per il futuro arrivo dei capi­tali cinesi, quando essi si potranno muo­vere con mag­giore libertà. Va ricor­dato a que­sto pro­po­sito che i risparmi del Paese di Mezzo sono i mag­giori del mondo e che l’abbattimento delle bar­riere al loro movi­mento pro­durrà una grande tra­sfor­ma­zione dei mer­cati finan­ziari mondiali.

Certo non tutto va per il meglio nell’espansione cinese all’estero. Così un arti­colo del Finan­cial Times fa un elenco dei pro­blemi incon­trati recen­te­mente nei pre­stiti a diversi paesi (Kynge, Wil­dau, 2015).

Un totale di 56,3 miliardi di euro è stato nel tempo con­cesso al Vene­zuela, la parte più con­si­stente dei circa 120 miliardi pre­stati all’America Latina a par­tire dal 2005. Ora la crisi di quell’economia e la caduta dei prezzi del petro­lio met­tono a rischio la resti­tu­zione. Pro­blemi simili si ritro­vano nel caso dell’Ecuador, cui la Cina ha con­cesso una linea di cre­dito di 7,5 miliardi di dol­lari ed in quello dell’Argentina, che ha rice­vuto pre­stiti per 19 miliardi. In dif­fi­coltà anche un pre­stito di un miliardo di dol­lari allo Zin­bawe. Qual­che pro­blema potrebbe sor­gere anche con la Rus­sia, cui la Cina ha for­nito circa 30 miliardi, molti dei quali garan­titi dal petro­lio. Peg­giore appare la situa­zione con l’Ucraina (18 miliardi).

L’attuale situa­zione sta spin­gendo il paese ad una mag­giore atten­zione nelle ope­ra­zioni finan­zia­rie, feno­meno che si rileva già dalle sue ultime mosse.

Il super­ci­clo delle mate­rie prime, che è ini­ziato nei primi anni del nuovo mil­len­nio, è stato dovuto per l’essenziale alla domanda cinese; così il paese è pas­sato del con­su­mare il 12% dei metalli del mondo nel 2000 a circa il 50% oggi (San­der­son, 2015). Ma ora la cre­scita dell’economia sta ral­len­tando e, d’altro canto, essa sta cam­biando carat­te­ri­sti­che, men­tre l’uso delle mate­rie prime sta diven­tando più ocu­lato ed effi­ciente, per cui la cre­scita espo­nen­ziale della domanda dovrebbe essere terminata.

Da segna­lare sul piano finan­zia­rio che il governo del mer­cato dei metalli prima sfug­giva lar­ga­mente alla Cina; adesso essa inter­viene per far meglio valere i pro­pri inte­ressi. Così Il mer­cato del set­tore di Shan­gai (Shfe) ha rag­giunto di recente e sta supe­rando come impor­tanza quelli di Lon­dra e di New York.

Fino a non molto tempo fa il governo cinese aveva pen­sato bene di man­te­nere la non con­ver­ti­bi­lità della moneta e di con­trol­lare i movi­menti di capi­tale, pre­messe impor­tanti per assi­cu­rare al paese uno svi­luppo eco­no­mico al riparo dalla spe­cu­la­zione finan­zia­ria inter­na­zio­nale e dalle pos­si­bili mano­vre politiche.

Ma ora le stesse esi­genze di un’ulteriore cre­scita dell’economia sem­brano imporre un cam­bia­mento di regi­stro, che è già in atto e che vedrà in pro­spet­tiva una piena libe­ra­liz­za­zione dei movi­menti di capi­tale e la con­ver­ti­bi­lità della moneta.

Di fatto il paese è già la prima eco­no­mia del mondo, il primo attore del com­mer­cio inter­na­zio­nale, il primo deten­tore dei risparmi, il primo paese come inve­sti­menti esteri in entrata ed in uscita, il primo finan­zia­tore dei pro­getti al di fuori dei con­fini nazio­nali, il primo mer­cato delle mate­rie prime. Non si può quindi facil­mente impe­dire che la sua moneta diventi entro una decina d’anni quella più importante.

Quanto le resi­stenze poli­ti­che degli Stati Uniti potranno fre­nare tale ten­denza? Le recenti vicende della crea­zione della nuova banca per lo svi­luppo asia­tico pro­mossa dalla Cina e alla quale alla fine hanno ade­rito anche molti paesi occi­den­tali nono­stante le forti pres­sioni sta­tu­ni­tensi, mostrano che il pro­cesso avanza.

Esso si sta comun­que svol­gendo da qual­che anno con cau­tela; tra i suoi aspetti, ricor­diamo la spinta a deno­mi­nare in yuan una parte cre­scente degli scambi, lo sta­bi­li­mento di mer­cati della pro­pria moneta in alcune piazze estere, l’inizio dell’accumulo di yuan come valuta di riserva da parte di alcune ban­che cen­trali, l’avvio di un accordo tra Shan­gai e Hong Kong per gli acqui­sti reci­proci di titoli e la cor­re­lata pro­gres­siva dere­go­la­men­ta­zione dei movi­menti di capitali.

Il nuovo pro­cesso di inter­na­zio­na­liz­za­zione dell’economia cinese avanza in maniera decisa, anche se esso incon­tra qual­che dif­fi­coltà sul suo per­corso. Un’ «era del capi­tale cinese», come la chiama la Deu­tsche Bank, è all’orizzonte e segna i primi passi, men­tre il paese si va libe­rando pro­gres­si­va­mente dalla presa del dol­laro per creare un sistema cino­cen­trico. Natu­ral­mente il futuro non è tutto già pre­di­spo­sto e molte novità potreb­bero modi­fi­care una ten­denza che sem­bra inar­re­sta­bile; in par­ti­co­lare, non appare del tutto chiaro se e quali mano­vre potranno met­tere in campo gli Stati Uniti per con­tra­stare tali sviluppi.



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