Sull’orizzonte della crisi greca inizia a materializzarsi lo spettro (specie per Atene) del “Piano B”. A evocarlo per la prima volta sono stati alcuni ministri Ue durante il burrascoso Eurogruppo di giovedì in cui è finito sotto processo il ministro alle Finanze ellenico Yanis Varoufakis. «Se non decolla l’accordo sulle riforme – hanno detto – dobbiamo prepararci a un’alternativa ». Sembrava uno strappo in avanti, dettato dall’esasperazione per un dialogo tra sordi diventato all’improvviso una rissa da cortile. Ieri però l’ipotesi di nuovi scenari – il più accreditato è un default della Grecia senza uscire dall’euro è stata ventilata anche da Berlino: «Non dovete chiedere a un politico ragionevole se esiste un Piano B – ha detto sibillino ai giornalisti il tedesco Wolfgan Schaeuble – Se lo ammettesse scatenerebbe il panico. E’ come quando è stata riunificata la Germania, nessuno l’avrebbe mai preannunciato». Un giro di parole per confermare nella sostanza che l’Unione europea sta esaminando tutte le alternative possibili.
La strada maestra, naturalmente, resta sempre quella del compromesso onorevole. «E’ a portata di mano e proprio per questo si stanno acuendo le tensioni», sostenevano ieri fonti vicine all’esecutivo di Tsipras. Bruxelles però è meno ottimista. Le posizioni, come dimostrano gli stracci volati a Riga ieri durante la riunione dell’Ecofin, restano molto distanti. Entro il 12 maggio il governo greco deve trovare un miliardo per pagare l’Fmi e la crisi di liquidità di Atene (che non riceve fondi dai creditori dallo scorso ottobre) rischia di fare saltare il banco in qualsiasi momento. Che cosa si può fare in quel caso?
Il Piano B è da settimane, anche se in segreto, sul tavolo di tutte le grandi istituzioni internazionali. E l’ipotesi più probabile è quella di lasciar andare la Grecia in default provando a mantenerla nell’euro. Emettendo una sorta di valuta parallela – gli Iou, “I Owe you”, in sostanza dei titoli di credito emessi dallo Stato – che verrebbe utilizzata per pagare stipendi e pensioni viaggiando, deprezzata, accanto all’euro. La Bce potrebbe tenere in vita le banche calibrando la liquidità (e come ovvio con rigidissimi controlli sui capitali) mentre a quel punto le parti avrebbero il tempo per maturare l’intesa.
Nessuno del resto vuole la Grecia fuori dalla valuta unica, anche per evitare l’effetto domino sul resto del continente. «La fuoriuscita di Atene», ha spiegato ieri da Riga il nostro ministro Pier Carlo Padoan, «dimostrerebbe che la moneta unica non è irreversibile ». E nemmeno i greci vogliono lasciare questo club. Il 71 per cento di loro, ha confermato un sondaggio ieri, chiede di restare nell’euro. Allo stesso tempo il 35 per cento (dato in calo e per la prima volta sotto il risultato elettorale del 25 gennaio) voterebbe ancora Syriza, davanti di 14 punti a Nea Demokratia nei sondaggi. Tsipras deve riuscire a trovare un equilibrio tra questi due dati. Convincendo la minoranza del suo partito ad accettare un compromesso o, se non ci riuscirà, sottoponendolo direttamente ai cittadini attraverso un referendum.
Il prossimo appuntamento con la Ue è per l’Eurogruppo dell’11 maggio, anche se già nei prossimi giorni i pontieri lavoreranno per ricucire i rapporti dopo lo scontro di Riga. Il premier ellenico, intanto, ha guadagnato un po’ di tempo. Ieri ha incontrato i dirigenti degli enti locali, convincendoli a trasferire la loro liquidità a un conto centralizzato presso la Banca di Grecia. Se tutti lo faranno, Atene potrebbe riuscire a doppiare anche lo scoglio del rimborso all’Fmi. Rimandando di un paio di settimane l’ennesima scadenza entro cui trovare l’accordo con l’ex Troika.