IL premier Sushil Koirala ha ammesso che i soccorsi sono stati lenti, che restano inadeguati ad affrontare la tragedia e che il Paese non ha la forza per reagire da solo. Oltre un milione di sopravvissuti sono senza tetto, allo stremo per fame, sete e stanchezza, per la pioggia e per il gelo notturno. Nella nazione sono stati proclamati tre giorni di lutto e migliaia di corpi continuano ad essere cremati.
L’apocalisse in queste ore scuote le regioni montuose dell’Himalaya e i villaggi rurali. Migliaia di zone restano isolate e irraggiungibili a causa delle frane che interrompono le strade e che continuano ad abbattersi sulle case. Una valanga si è abbattuta ieri su Ghodatabela, 250 i dispersi. Il terremoto ha spinto Katmandu più a sud di tre metri e ha sconvolto la geografia himalayana. Negli ultimi due giorni oltre 250mila nepalesi sono fuggiti dalla capitale e cercano di raggiungere i luoghi d’origine.
Nella valle di Katmandu i generi di prima necessità scarseggiano, ogni attività resta paralizzata ed esplode il mercato nero di acqua, cibo, fermaci e carburante. Nove edifici su dieci risultano inagibili e il governo stima che per la ricostruzione saranno necessari 10 miliardi di dollari, la metà dell’interno valore dell’economia nazionale. La macchina dei soccorsi internazionali si è messa in azione, ma istituzioni e governi stranieri restano prudenti nello stanziamento di fondi a causa della drammatica corruzione politica, che tiene il Nepal ostaggio di una spaventosa povertà.
Nei distretti a nord di Katmandu e di Pokhara, verso le vette degli Ottomila, migliaia di bambini e di vecchi sono abbandonati e tra i sopravvissuti si diffondono epidemie di diarrea e infezioni. I campi 1 e 2 dell’Everest, sopra la valle del Khumbu, sono stati evacuati dopo essere stati sepolti dalle valanghe, che hanno ucciso 18 alpinisti. In 200 sono stati salvati dagli elicotteri e per il secondo anno consecutivo — nel 2014 una valanga aveva ucciso 16 sherpa — la stagione delle ascese si è chiusa tragicamente e in anticipo.
In quota e lungo i trekking del Langtang mancano all’appello centinaia di stranieri, ma il blocco delle linee telefoniche ostacola i tentativi di contatto. Due giorni fa su 347 italiani, ne mancavano all’appello 39: a ieri il bilancio parla di 4 vittime, 29 rintracciati, una decina ancora irreperibili. Il governo ha dichiarato ieri lo stato di emergenza, permettendo così alla Protezione civile di inviare un volo con aiuti e esperti: lo stesso aereo dovrebbe riportare in patria alcuni connazionali ancora bloccati.
Il Nepal intanto continua a tremare, con scosse d’assestamento di magnitudo fino a 4.5. Estratta viva dalle macerie una donna, salvata dopo 33 ore. A cinque giorni, la speranza di un altro miracolo è però quasi spenta.