Ma c’è anche un altro numero che impensierisce gli esperti del Fondo: il moloch del debito. In Italia questo parametro cresce meno del previsto, ma quest’anno è pur sempre pari al 133,8% del Pil dal 102,3 dell’inizio della crisi. Fra i paesi dell’area euro solo la Grecia ha un debito più alto: 172,7% quest’anno. La Spagna (99,4%) fa meglio dell’Italia mentre al Giappone resta la palma del debito più alto del mondo: 246,1% nel 2015.
Sofferenze e debito sono il “freno” dell’economia, “il vento contrario alla crescita”, secondo quel che è scritto nel Fiscal monitor. Se a tutto questo si aggiunge la mini-inflazione, allora il panorama si complica ancora. In un simulazione si legge: «Se la crescita nominale dovesse raggiungere il 4% entro il 2017, nelle nazioni che ora stanno vivendo una crescita e un’inflazione basse, il debito al 2020 sarebbe il 6% più basso. In Austria, Belgio, Italia, Giappone e Portogallo, l’impatto potrebbe arrivare al 10%».
Nell’analisi del Fmi le sofferenze bancarie riducono la volontà e la capacità delle banche di offrire credito perché pesano sulla redditività. Al dunque, finiscono per ostacolare la trasmissione all’economia reale del quantitative easing appena varato dalla Bce. «Servono azioni a sostegno della capacità di credito delle banche» avverte il Fmi. In concreto: ci vuole chiarezza sugli standard regolatori; bisogna assicurare che i contesti legali per la bancarotta di imprese e aziende siano riformati. E, non ultimo, occorre diversificare le fonti di finanziamento: meno banche e più mercati dei capitali, oggi il 36% appena del sistema. Il Fmi stila infine una tabellina da cui risulta che l’indebitamento delle famiglie e delle imprese italiane sale. Gli americani e gli inglesi, invece, a sorpresa, si riscoprono “formiche” con la crisi. Da noi, l’indebitamento lordo delle aziende è destinato a restare intorno al 70% almeno fino al 2020. Anche questo elemento è un freno alla ripresa.