Yemen. Massacrati mentre pregavano

Yemen. Massacrati mentre pregavano

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Quattro attentatori suicidi per quasi 140 morti e circa 350 feriti, di cui molti gravissimi. È il bilancio ancora confuso degli attacchi lanciati ieri mattina al momento della preghiera musulmana del venerdì contro due moschee affollate di fedeli legati al movimento sciita degli Houthi a Sana’a, la capitale dello Yemen.
L’azione è stata rivendicata poco dopo sulla Rete dalle cellule degli estremisti sunniti locali, che dal novembre scorso hanno annunciato la loro alleanza allo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al Bagdadi. «Faremo scorrere fiumi di sangue in piena», minacciano. Se fosse confermata la fonte, sarebbe questa la prima operazione su larga scala di Isis in Yemen. Ma tale rivendicazione va ancora verificata. Non è difficile infatti per Isis annunciare sui social network la paternità di questo tipo di operazioni. Ma in realtà è ben noto che la sanguinosa guerra civile yemenita, che infuria da oltre un decennio tra elementi sciiti sostenuti dall’Iran e le componenti sunnite aiutate dall’Arabia Saudita, vede tra i ranghi di queste ultime una forte e radicata presenza di Al Qaeda, già in passato responsabile di azioni molto simili a quella di ieri.
La valutazione più evidente è che le violenze inter-musulmane parallele a quelle contro gli «infedeli» (i «crociati», come Isis ha definito i turisti uccisi a Tunisi mercoledì), sono in crescita esponenziale ed il «marchio» dello Stato Islamico, o «Califfato» che dir si voglia, funziona da magnete e stimolo per fomentarne altre. Ne sono una riprova le decine, se non centinaia, di morti scoperti dalle truppe del Ciad e del Niger nelle province appena riconquistate a Boko Haram in Nigeria, il gruppo che negli ultimi tempi ha annunciato la sua alleanza ad Isis. Molti sono stati sgozzati. In pozzi abbandonati sarebbero stati trovati i cadaveri di giovani donne che i jihadisti-criminali in ritirata si erano presi come mogli-schiave, e poi avrebbero ucciso affinché rimanessero «pure» e non cadessero nelle mani dei «khafiri», i non credenti.
Ma è la ferocia contro le moschee di Sana’a a far pensare ad un piano complesso volto a creare il massimo numero di vittime, assieme a terrore e sottomissione. Un primo kamikaze ha tentato di entrare in quella di Badr, la più frequentata dai militanti Houthi in centro città. Bloccato da una guardia sul portone, si è fatto saltare in aria. Nel caos seguente, un secondo jihadista imbottito di tritolo si è gettato nell’edificio causando la strage maggiore. Tra i morti anche l’imam Zayad al Mahatwari, uno dei massimi leader religiosi Houthi, e con lui esponenti politici e capi militari. Quasi nello stesso momento due altri kamikaze hanno portato devastazione e morte nella moschea al-Hashoosh, posta nei quartieri settentrionali, frequentata in maggioranza da sciiti ma anche da sunniti locali. Un terzo attacco molto simile doveva aver luogo nella moschea di Saada, roccaforte Houthi nel Nord, ma l’attentatore è stato ucciso in tempo dalle guardie.
Sono fatti destinati ad aumentare le divisioni nello Yemen già lacerato dalla guerra interna. Le tribù sciite degli Houthi sono calate dai villaggi nel Nord dopo aver dichiarato guerra nel 2004 al governo centrale dell’allora presidente Ali Abdullah Saleh (a sua volta figlio delle tribù Houthi, benché al tempo protetto dagli Usa). Nel 2011 Saleh venne costretto alle dimissioni. Ma la guerra non è terminata. Lo scontro tra Houthi e forze sunnite, affiancate dall’attiva presenza qaedista, si è invece intensificato. Sino a che il 20 gennaio scorso le milizie Houthi sono riuscite a conquistare Sana’a, attaccando anche la residenza del nuovo presidente Abed Rabbo Mansour Hadi. Questi si è quindi rifugiato a Aden. Oggi però Saleh si è alleato con gli Houthi e sta conducendo una guerra senza quartiere contro Hadi. Nelle ultime ore sono segnalati scontri sanguinosi nel Sud del Paese, tra Aden e la provincia di Taiz.
Lorenzo Cremonesi


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