Caro professor Veronesi, da bambino e poi da adolescente è sempre stato vegetariano?
«Sì, ma non è stata certo una scelta legata alla salute. Da bambino ho vissuto una dimensione che oggi, nell’era virtuale, è sconosciuta ai più piccoli: vivevo in una cascina lombarda e i miei primi amici sono stati gli animali, che mi hanno fatto sperimentare il calore e l’affetto di cui sono capaci. E non parlo solo di cani e gatti, ma anche di vitellini, maiali e agnelli. Appena ho avuto un barlume di coscienza, mi sono categoricamente rifiutato di mangiare esseri che amavo».
Ha mai fumato?
«Sì, come tutti quelli della mia età. Nell’Italia degli anni Quaranta, povera e tormentata dalla guerra, la sigaretta era uno status symbol , un segno di modesto benessere. Per la sensualità del gesto di portare alla bocca qualcosa che si trasformava in nuvole di fumo, aveva anche la valenza di un richiamo sessuale, in un mondo in cui il sesso era ancora un tabù… Ho fumato fino ai 35-40 anni… Ma appena mi sono reso conto dei danni alla salute, ho smesso da un giorno all’altro, con un atto di volontà».
Ha provato, anche solo una volta, qualche droga?
«No mai, non ci ho mai neppure pensato. La droga non circolava negli ambienti della mia giovinezza, e da adulto mi sono sempre preoccupato di tenere i miei figli lontani da eroina e Lsd, le droghe degli anni Settanta».
Ritiene che lo stile di vita giovanile possa avere influenza sulla qualità della longevità?
«Io penso che la mente abbia un’età indipendente da quella del corpo, ed è quella che più conta per la qualità della longevità. Se noi iniziamo da adolescenti, come ho fatto io, a porci delle domande, a mettere in dubbio tutto, a non dare niente per scontato e a impegnarci per costruire un nostro sistema autonomo di pensiero; se continuiamo per tutta la vita adulta a cercare, studiare, interrogarci; se non ci sentiamo mai “arrivati”; tanto più continueremo a essere mentalmente attivi anche da anziani. Io sono stato un adolescente “vivace”, sono stato bocciato due volte al liceo classico perché trovavo la scuola di allora nozionistica e noiosa… Ho uno spirito “ribelle”, “anticonformista”: sono portato a trasgredire, cioè a non adeguarmi alle regole che non capisco e non condivido».
Essere «anticonformisti» allunga la vita?
«Certo. Il mio modo di essere e di pensare mi ha fatto spostare le età della vita. Ho creato l’Istituto europeo di oncologia a 65 anni, quando i miei coetanei andavano in pensione, poi la mia Fondazione per il progresso delle Scienze a 78 anni, e oggi a 89 ho ancora nuovi progetti da realizzare».
Quale attitudine mentale è importante per vivere a lungo?
« La curiosità è importante. Ma è essenziale la propensione al dubbio, che è l’altra faccia della trasgressione».
Quale ruolo ha la sfera emotiva?
«Amare e sentirsi amati è il miglior antidoto contro la tristezza della senilità, perché ci fa superare il ripiegamento su noi stessi e i nostri mali».
E lo stress?
«Alcuni studiosi sostengono che lo stress, inteso come l’essere molto coinvolti e pieni di obiettivi da raggiungere, sia un fattore pro longevità… Io resto convinto che ritirarsi dalla vita attiva e dedicarsi ad attività che non comportano motivazione, impegno e soprattutto responsabilità verso se stessi e gli altri, sia un fattore aggravante dell’invecchiamento. Io vivo in overbooking permanente».
Quanta attività fisica ha fatto da giovane? La fa anche adesso?
«Da giovane ero molto sportivo. Sono stato campione di canottaggio e poi amavo lo sci, lo sci d’acqua, l’alpinismo e le scalate. Ora non faccio attività fisica perché metterei a rischio la mia salute…».
E il cervello lo allena?
«Certamente. Non ci sono limiti imposti dall’età. Faccio esercizi di logica come il sudoku, e poi leggo, approfondisco e coltivo le mie passioni, come lo studio delle religioni e la loro storia, o il cinema. Inoltre scrivo molto: poesie — che ho sempre composto e poi buttato via — testi scientifici, saggi e libri divulgativi. Mi piace dibattere con amici, figli, collaboratori».
Che cosa e quanto mangia nell’arco della sua giornata?
«Mangio una volta al giorno, complessivamente poco e rigorosamente vegetariano. Sono attaccato dai nutrizionisti, che sostengono che il pasto unico non è una buona abitudine alimentare. Io però non ho mai affermato che questa mia abitudine fosse una scelta dettata dalla salute».
Cibi preferiti?
«Mi piacciono i cibi semplici della dieta mediterranea: gli spaghetti al pomodoro e la pizza…».
Pratica il digiuno?
«Sì, una volta alla settimana. È una pausa per il fisico e una forma di controllo del pensiero sul corpo, una base per concentrarsi mentalmente e meditare».
Nel suo lavoro si instaurano rapporti empatici con i pazienti, quanti stimoli positivi riceve?
«Lo scambio emotivo con un paziente è uno stimolo emotivo che ti tiene saldamente attaccato alla vita. Una persona malata che si affida a te, ti fa sentire importante, a volte insostituibile, e questa percezione ti allontana infinitamente dal rifiuto della vita».
Da 1 a 10 quanto incide il lavoro sulla longevità?
«Direi 8, se è un lavoro che motiva, come il mio. È un lavoro particolare infatti, perché c’è la componente di ricerca e studio, che tiene in allenamento la sfera razionale della mente, e c’è la componente sentimentale».
Può essere negativo svolgere un lavoro che non piace?
«In questo caso il “voto” scende, perché la mente non è stimolata. Tuttavia, nell’atto stesso di svolgere un lavoro rimane una componente essenziale per la giovinezza mentale: la responsabilità».
Rifarebbe tutto quello che ha fatto finora? A posteriori cambierebbe qualcosa?
«Rifarei tutto, senza cambiare nulla».