Vent’anni di precarietà

by redazione | 20 Marzo 2015 10:47

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Dagli anni novanta i governi sia di cen­tro­de­stra sia di cen­tro­si­ni­stra hanno intro­dotto diversi cam­bia­menti nel mer­cato del lavoro: riforma delle pen­sioni, pac­chetto Treu, legge Biagi, legge For­nero e Jobs act sono i prin­ci­pali inter­venti che, con ottica bipar­ti­san, hanno cam­biato il mondo del lavoro. Uti­liz­zando i dati Istat, si nota come l’occupazione — che include i dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato, a tempo deter­mi­nato, gli inte­ri­nali e i datori di lavoro che par­te­ci­pano atti­va­mente nell’impresa ma esclude il lavoro ati­pico — sia cam­biata molto nel tempo.
Le oltre 21,5 milioni di posi­zioni lavo­ra­tive del 1990, nel 2014 aumen­tano di circa un milione di unità, con un incre­mento com­ples­sivo di appena cin­que punti per­cen­tuali. Il tasso di occu­pa­zione negli anni resta costante, regi­strando una varia­zione mas­sima nel 2008 (58,6%) rispetto al 1990 (54,9%), men­tre nel 2014 regi­stra un aumento di un solo punto per­cen­tuale (56%). La mag­gior pre­senza di donne e immi­grati sono stati i due ele­menti di novità. I dati mostrano una cre­scita soste­nuta delle donne occu­pate con un incre­mento com­ples­sivo di oltre venti punti per­cen­tuali fra il 2014 e il 1990. Invece gli occu­pati extra­co­mu­ni­tari fra il 2004 e il 2014 pas­sano da 965mila a oltre 2,3 milioni.
Il tasso di disoc­cu­pa­zione pos­siede un anda­mento discon­ti­nuo acce­le­rando nei primi anni novanta fino al picco dell’11,3% nel 1990. Da allora la disoc­cu­pa­zione si riduce fino al 2008 (6,1%) per poi tor­nare in cre­scita con la reces­sione e le poli­ti­che di auste­rità che la ripor­tano sta­bil­mente al di sopra del 10% con oltre 1,6 milione di per­sone in cerca di lavoro. In pochi anni la disoc­cu­pa­zione torna ai valori dei primi anni novanta, ma con un’occupazione più pre­ca­ria e con minori garan­zie. I con­tratti di lavoro dipen­dente a tempo deter­mi­nato, libe­ra­liz­zati dal secondo governo Ber­lu­sconi e i con­tratti inte­ri­nali, pren­dono piede assai rapi­da­mente e nell’arco di dieci anni cre­scono costan­te­mente fino a rag­giun­gere nel 2014 un livello assai mag­giore rispetto al 2004 (+56%). Al con­tra­rio i con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato regi­strano in dieci anni un incre­mento assai minore, pari all’8%.

L’occupazione negli anni non pre­mia né il Mez­zo­giorno né i gio­vani. Dal 1990 gli occu­pati nel Sud si ridu­cono fino a scen­dere nel 2014 dell’8%. Le donne nel Sud aumen­tano la loro par­te­ci­pa­zione ma con miglio­ra­menti infe­riori alla media nazio­nale: regi­strano un picco nel 2012 (+19% rispetto al 1990), che poi nel 2014 si ridi­men­siona al 12%.

Gli occu­pati, con età com­presa fra i 15 e i 24 anni, dimi­nui­scono ogni anno e nel 2014, il loro livello di occu­pa­zione si è ridotto di oltre due terzi rispetto al 1990: i quasi 3 milioni di gio­vani occu­pati nel novanta diven­tano appena un milione nel 2014.

Anche se i più gio­vani con gli anni si ridu­cono di numero per la dina­mica demo­gra­fica il mer­cato del lavoro rie­sce ad assor­birne sem­pre pochi tanto che il tasso di disoc­cu­pa­zione per i lavo­ra­tori fra i 15 e i 24 anni , pari al 27% nel 1990, pur subendo qual­che ridu­zione fino al 2008 tocca pic­chi mag­giori del 40% tra il 2013 e il 2014.

Il feno­meno di meno occu­pati, meno disoc­cu­pati e mag­gior tasso di disoc­cu­pa­zione fra i gio­vani si spiega anche per il dif­fon­dersi del feno­meno dei Neet oltre all’affermarsi di forme di lavoro ati­pi­che non con­ta­bi­liz­zate negli indi­ca­tori tradizionali.

Oltre 1,4 milioni di gio­vani fra i 15 e i 24 anni e 3,7 milioni fra i 15 e i 34 anni nel 2014 hanno scelto di rima­nere fuori dal mer­cato del lavoro e dal cir­cuito della for­ma­zione e dell’istruzione. La fles­si­bi­lità non sem­bra in grado di attrarli e farli tor­nare attivi: fra il 2004 e il 2014, i numeri uffi­ciali evi­den­ziano un incre­mento del 41% dei Neet con 15–24 anni e del 24% per quelli con 15 e i 34 anni.

Degli oltre 1,2 milioni di col­la­bo­ra­tori attivi nel 2013, circa 600 mila non pos­sie­dono carat­te­ri­sti­che pro­fes­sio­nali defi­nite, men­tre gli altri in gran parte appar­ten­gono agli ammi­ni­stra­tori di società, e in misura minore a cate­go­rie spe­ci­fi­che quali i dot­to­randi e i medici spe­cia­liz­zandi. Circa 80 mila gio­vani fra i 18 e i 24 anni svol­gono col­la­bo­ra­zioni nel 2013, assieme ad oltre 200 mila ultra­ses­san­tenni. Il mondo del lavoro ati­pico passa tra­sver­sal­mente fra le gene­ra­zioni, faci­li­tando il ritorno nel mondo del lavoro dei pen­sio­nati e creando sac­che di pre­ca­riato fra i gio­vani. Degli oltre 179 mila col­la­bo­ra­tori esclu­sivi che erano attivi nel 2000, solo il 36% dopo tre­dici anni ha rag­giunto un con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato, men­tre la mag­gior parte è uscita dal mondo del lavoro.

Ad oggi tutte le pro­messe delle riforme del lavoro non sono state man­te­nute, dalla fle­xi­cu­rity, mai rea­liz­zata dal mini­stro For­nero, ai sus­sidi uni­ver­sali, ven­ti­lati a ini­zio legi­sla­tura e oggi sepolti fra le carte del Par­la­mento. La riforma del Jobs act non sem­bra far altro che pre­ca­riz­zare tutti sfer­rando un nuovo colpo ai diritti dei lavo­ra­tori, in attesa della pros­sima mira­co­losa riforma.

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