Una Costi­tu­zione di minoranza

by redazione | 11 Marzo 2015 14:20

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Un brutto giorno per la Repub­blica. Come era nelle pre­vi­sioni, la Camera approva la riforma costi­tu­zio­nale Boschi-Renzi, già votata in Senato. 357 sì, 125 no, 7 aste­nuti, che alla Camera non con­tano. Movi­mento 5 Stelle fuori dall’Aula. Numeri certo favo­re­voli a Renzi. Ma è facile vedere, richia­mando il con­senso ai sog­getti poli­tici real­mente espresso nel voto del 2013, che una Camera depu­rata dalla droga del pre­mio di mag­gio­ranza dichia­rato ille­git­timo con la sen­tenza 1/2014 della Corte costi­tu­zio­nale oggi avrebbe boc­ciato la pro­po­sta. Non è la Costi­tu­zione della Repub­blica. È la costi­tu­zione del Pd con escre­scenze. Una costi­tu­zione di minoranza.
Que­sto con­ferma tutte le cri­ti­che sulla man­canza di legit­ti­ma­zione a rifor­mare la Costi­tu­zione di un par­la­mento ful­mi­nato nel suo fon­da­mento elet­to­rale. E dun­que non abbiamo affatto un paese più sem­plice e giu­sto, come esulta Mat­teo Renzi. Invece, abbiamo in pro­spet­tiva una Costi­tu­zione che non riflette la realtà del paese.

Il voto della Camera ci con­se­gna quel che sarà, molto pro­ba­bil­mente, il testo defi­ni­tivo della riforma. Si richiede un nuovo pas­sag­gio in Senato per chiu­dere con l’approvazione di un iden­tico testo la fase della prima deli­be­ra­zione richie­sta dall’art. 138 della Costi­tu­zione. Ma è ragio­ne­vole pre­ve­dere che Renzi alzerà bar­ri­cate con­tro ogni ulte­riore modi­fica, che potrebbe del resto toc­care solo le parti ora emen­date dalla Camera.

Immu­tata la sostanza. Lie­ve­mente miglio­rata la “ghi­gliot­tina” per cui il governo poteva pre­ten­dere a data certa il voto su un testo di sua scelta. Un vero e pro­prio potere di vita o di morte sui lavori par­la­men­tari. Ora rimane solo la data certa, e non è poco. Fino ad oggi sarebbe stata mate­ria riser­vata all’autonomia delle Camere attra­verso i rego­la­menti par­la­men­tari. Da domani — scritta in Costi­tu­zione — sarà invece un vin­colo sul par­la­mento nei con­fronti del governo. Peg­gio­rata la riforma del Titolo V, dove viene annac­quato con ine­dite com­pli­ca­zioni il pro­po­sito — in sé apprez­za­bile — di una sem­pli­fi­ca­zione del rap­porto Stato-Regioni.

Ma su tutto pre­vale la inac­cet­ta­bile scelta — che rimane — di un Senato non elet­tivo, di seconda mano e di dop­pio lavoro, tut­ta­via inve­stito di poteri rile­vanti, tra cui spicca quello di revi­sione della Costi­tu­zione. Man­ten­gono piena vali­dità le cri­ti­che più volte espresse su que­ste pagine. Soprat­tutto per la siner­gia con l’Italicum, che va colta in tutto il suo signi­fi­cato. E se ne accen­tua il rilievo nel momento in cui la riforma costi­tu­zio­nale rimane pes­sima, e l’Italicum peg­giora. Al già inac­cet­ta­bile impianto di base, inos­ser­vante dei prin­cipi posti con la sen­tenza 1/2014, si aggiun­gono ora il pre­mio alla sola lista, la beffa dei capi­li­sta bloc­cati e can­di­da­bili in più col­legi, il bal­lot­tag­gio. Il colpo alla rap­pre­sen­ta­ti­vità delle isti­tu­zioni e ai pro­cessi demo­cra­tici si aggrava.

La fine dichia­rata da Ber­lu­sconi del patto del Naza­reno aveva susci­tato qual­che spe­ranza. La let­tera dei “ver­di­niani” — Ver­dini è noto­ria­mente in odore di ren­zi­smo — fa nascere dubbi sul con­trollo di Ber­lu­sconi sul par­tito. Forse una parte dei suoi si appre­sta a cam­biare padrone, se non casacca. Nel pros­simo voto in Senato — ancora in prima deli­be­ra­zione — non sarà pre­scritta una par­ti­co­lare mag­gio­ranza. Ma sarà una prova gene­rale per la seconda deli­be­ra­zione ex art. 138, per cui si richiede il voto favo­re­vole della metà più uno dei com­po­nenti l’assemblea. In Senato il dis­senso potrebbe allora essere deci­sivo. E affos­sare la riforma tra­sci­ne­rebbe con sé anche l’Italicum, che nulla pre­vede per il Senato assu­men­done il carat­tere non elettivo.

Sapremo dun­que già nel voto che si avvi­cina se la sini­stra del Pd ha numeri e attri­buti. Sapremo se il patto del Naza­reno è dav­vero morto. Ber­lu­sconi ha inteso fare a Renzi lo stesso sgam­betto che fece a D’Alema nel 1997, quando affossò in Aula la pro­po­sta che Fi aveva votato in Com­mis­sione bica­me­rale Allora, pur avendo i numeri, la mag­gio­ranza di cen­tro­si­ni­stra si fermò. Que­sta volta non gli è riu­scito. In Senato pro­vaci ancora, Sil­vio. Magari faremo il tifo per te.

Nel frat­tempo, biso­gnerà spie­gare al popolo sovrano che nelle isti­tu­zioni si for­giano le poli­ti­che di governo. Per le donne e gli uomini di que­sto paese le scelte isti­tu­zio­nali non sono indif­fe­renti. Isti­tu­zioni sem­pli­fi­cate e poco rap­pre­sen­ta­tive, assem­blee elet­tive con la mor­dac­chia, governi che fun­zio­nano come giunte comu­nali (for­mula ren­ziana), par­titi della nazione pro­du­cono poli­ti­che con­ser­va­trici, disat­tente verso i diritti, subal­terne ai poteri forti, sorde alle diver­sità, e invece tol­le­ranti verso le dise­gua­glianze. Già accade.

Con pen­sosa paca­tezza Ber­sani final­mente avverte che l’Italicum non è vota­bile per la siner­gia per­versa con la riforma costi­tu­zio­nale. Corra ai ripari. Qual­cuno dovrebbe spie­gare a lui e all’evanescente sini­stra Pd che la ditta li ha già messi in cassa inte­gra­zione a zero ore. Anche il nuovo par­tito non più leg­ge­ris­simo di cui Renzi favo­leg­gia li met­te­rebbe in mobi­lità. Per loro, solo con­tratti a tutele decrescenti.

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