Secondo Karim Sadjadpour, esperto di Medio Oriente del Carnegie Endowment, per quanto Obama e i suoi si sforzino di credere che l’accordo possa essere “trasformativo” il leader supremo iraniano Ali Khamenei, «lo considera transattivo» – l’Iran si tura il naso, conclude l’accordo, riguadagna forza, e resta aderente ai suoi vecchi principi rivoluzionari. Però non si può mai dire, magari da transattivo l’accordo può avere inesorabili e imprevedibili effetti trasformativi.
Un’altra tesi è che l’Iran sia un paese normale e civile, che vanta elezioni vere (seppur limitate), una popolazione femminile istruita e un grande potere militare. Recuperare i rapporti con l’Iran consentirebbe agli Usa di gestire meglio i Taliban sunniti in Afghanistan, e neutralizzare i jihadisti sunniti come quelli dell’Is. Fin dalla rivoluzione iraniana del 1979 l’America ha puntato molto sull’Arabia Saudita, ma mentre la famiglia reale e le élite saudite sono allineate con gli Usa, esiste uno zoccolo duro di sauditi wahabiti che ha finanziato la diffusione di un Islam estremamente puritano, anti pluralista, misogino che ha cambiato lo spirito dell’Islam arabo contribuendo a mutazioni come l’Is. Nessun iraniano fu coinvolto nell’undici settembre.
Furono agenti iraniani a costruire gli esplosivi più letali che uccisero una gran numero di militari americani in Iraq. Fu l’Iran a incoraggiare i suoi alleati sciiti iracheni a rifiutare il prolungamento della presenza militare americana in Iraq. «Nella lotta contro l’Is, l’Iran è sia l’incendiario che il pompiere», dice Sadjadpour e aggiunge che per l’Arabia Saudita l’ascesa dell’Is è attribuibile alla repressione dei sunniti in Siria e in Iraq da parte dell’Iran e dei suoi accoliti sciiti. Per Tehran, l’ascesa dell’Is è attribuibile al supporto finanziario e ideologico dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati del Golfo. Hanno ragione entrambi, ecco perché gli americani non hanno interesse tanto alla vittoria degli ideologi dell’una o dell’altra parte, quanto a un equilibrio.
Se si concluderà l’accordo sul nucleare sul mercato globale arriverà molto più petrolio iraniano, i prezzi caleranno a beneficio dei consumatori globali. L’Iran avrà però così miliardi di dollari in più da spendere per la guerra cibernetica, missili a lunga gittata e per imporre il proprio potere in tutto il mondo arabo. Già quattro capitali, Beirut, Baghdad, Damasco e Sana’a sono in mano a suoi fedelissimi. Ma considerando il caos che regna in Yemen, Iraq e Siria, davvero ci importa qualcosa se l’Iran vuol fare il poliziotto in quei territori? Per dieci anni è stata l’America a impegnarsi in Iraq e in Afghanistan, anche oltre misura. Ora tocca all’Iran. Sono desolato per le persone che devono vivere in quei paesi e senza dubbio dovremo utilizzare le forze aeree americane per evitare che il caos si estenda. Ma gestire il declino del sistema degli Stati arabi non dovrebbe essere problema nostro. Non siamo in grado di farlo.
Quindi prima di prendere una posizione sull’accordo con l’Iran chiedetevi che effetti avrà su Israele, il paese più minacciato dall’Iran. Chiedetevi però anche come l’accordo si inserisca nella più ampia strategia americana mirata a placare le tensioni in Medio Oriente con il minimo coinvolgimento necessario da parte Usa e il minor prezzo possibile del petrolio.
(© 2-015 New York Times News Service Traduzione di Emilia Benghi)