Strage di cristiani in Pakistan. Francesco: persecuzione che il mondo nasconde
by redazione | 16 Marzo 2015 9:39
I due kamikaze imbottiti di esplosivo cercano di entrare nelle due basiliche, poste a poche centinaia di metri l’una dall’altra. Vengono però fermati dai volontari armati, che a turno si occupano di garantire la sicurezza della comunità cristiana. Circa duemila fedeli si trovano negli edifici per attendere alla messa della domenica mattina. Visto l’impossibilità di proseguire, i due terroristi si fanno saltare in aria all’ingresso. Le deflagrazioni sono potenti e ravvicinate. Sul terreno restano una quindicina di morti. I feriti sono decine, si parla di un’ottantina. Tanti bambini, donne, anziani. Almeno trenta versano in pericolo di vita. Le immagini, riprese con i cellulari subito dopo, mostrano scarpe insanguinate, borse, vestiti, brandelli di corpi, rottami.
Alcuni testimoni spiegano che al momento dell’attacco un numero imprecisato di uomini armati ha aperto il fuoco sulla folla terrorizzata. Due di loro vengono subito bloccati, disarmati, picchiati, in effetti linciati, quindi i loro cadaveri sono dati alle fiamme. Nel frattempo migliaia di cristiani inferociti scendono in piazza, inscenano manifestazioni improvvisate, attaccano alcune stazioni degli autobus, se la prendono con il governo e la polizia che non li difendono. Altri cristiani protestano con violenza a Karachi, Rawalpindi, Islamabad. La richiesta è una sola: «Vogliamo protezione, vogliamo sicurezza. Perché il governo non ci garantisce contro i terroristi?».
Accadeva ieri mattina a Lahore, città nel cuore del Punjab, la regione nel centro del Pakistan dove la presenza cristiana è più radicata. Le due basiliche colpite sono quella cattolica di San Giovanni e la protestante Chiesa di Cristo, si trovano nel quartiere di Youhanabad, dove vivono almeno centomila cristiani (una delle comunità più numerose dell’intero Paese). «Se i terroristi fossero riusciti ad entrare, il numero delle vittime sarebbe stato molto maggiore», dicono i responsabili delle due comunità. Poco dopo il gruppo «Jamaat ul Ahrar», una componente dell’universo talebano, rivendica la responsabilità dell’operazione.
Condanne dure contro l’attentato giungono intanto dal governo di Islamabad. «Questo è un attacco contro tutto il Pakistan. Prenderemo i terroristi responsabili», dichiara il premier Nawaz Sharif, che però è criticato duramente proprio dai maggiorenti cristiani che lo accusano di fare troppo poco, o nulla, contro il montare degli estremisti islamici e delle violenze talebane. Si fa sentire anche la voce di Papa Francesco, che ieri durante l’omelia domenicale in piazza San Pietro ha condannato con durezza le persecuzioni dei cristiani, «solo per il fatto che sono cristiani». Alle vittime delle bombe «e alle loro famiglie» il Papa ha voluto indirizzare le sue preghiere, aggiungendo il suo appello «a Dio affinché riporti la concordia» in Pakistan, dove però — dice ancora il pontefice — «il mondo cerca di nascondere le persecuzioni ai danni dei cristiani».
Parole che trovano a Lahore e nel resto del Paese una comunità spaventata, stanca, per una storia ormai lunga di violenze e ingiustizie. Gli attentati contro le comunità cristiane (rappresentano meno del 3 per cento degli oltre 180 milioni di pakistani, la grande maggioranza musulmani) sono cresciute dopo la crisi seguita all’11 settembre 2001. Da allora si sono intensificate anche le polemiche contro le cosiddette «leggi sulla blasfemia», secondo le quali qualsiasi musulmano può far condannare a morte un «miscredente» che a suo parere abbia offeso l’Islam. Gli attacchi armati sono periodici. La recrudescenza delle attività talebane non promette nulla di buono. Nel settembre 2013 furono 127 i cristiani uccisi negli attentati contro le chiese di Peshawar. Lo stesso anno un centinaio di abitazioni cristiane a Lahore fu dato alle fiamme.