Sicurezza e identità nazionale: la «gauche» perde la sfida ma ora è battaglia tra i gollisti
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Nicolas Sarkozy è il grande vincitore delle elezioni dipartimentali francesi e il successo lo proietta in testa nella corsa all’Eliseo per il 2017. Risultato forte e netto, che spunta un po’ le ali a Marine Le Pen, ma non interpretabile soltanto nella semplice logica di alternanza fra destra e sinistra. Le elezioni hanno sconvolto il panorama politico ed espresso un cambiamento radicale della sensibilità popolare che non mancherà di influenzare il futuro assetto del Paese e in termini di cultura politica il comune sentire degli europei.
Dalla Francia sale una forte domanda di sicurezza, di controllo dei flussi migratori, di identità e «preferenza» nazionale. Domanda che rende minoritaria la cultura della sinistra, il «politicamente corretto» sempre più estraneo ai ceti popolari che voltano le spalle alla «gauche» proprio nelle tradizionali roccaforti operaie e in luoghi simbolici, come la Correze del presidente Hollande.
Questa domanda è stata ascoltata, strumentalizzata e capitalizzata negli ultimi anni dal Front National, primo partito alle europee, secondo ieri, ormai radicato nelle realtà locali, soprattutto nelle regioni del Nord, che votavano a sinistra, e nelle regioni del Sud, più conservatrici e sensibili al problema dell’insicurezza che sconvolge le zone turistiche dove vanno a svernare i pensionati.
Ma Sarkozy ha fatto compiere all’Ump, il partito gollista e repubblicano, uno spregiudicato salto culturale che in parte tradisce l’atteggiamento dei predessori — da Giscard a Chirac — secondo i quali nessuna contaminazione, né politica, né ideologica, era possibile con il Front National. Un atteggiamento che divideva inevitabilmente l’elettorato di destra, a beneficio della sinistra.
Sarkozy ha cavalcato tematiche care al Fronte: «I francesi non vogliono cambiare il loro modello di vita, sono pronti ad accogliere quelli che lo accettano», ha detto, esaltando un’idea di assimilazione culturale, rispetto alle tendenze comunitaristiche della società francese. E, al tempo stesso, non ha dato indicazioni di voto, laddove, nei ballottaggi, gli elettori di destra avrebbero dovuto scegliere fra un candidato di sinistra e uno del Front.
I risultati gli hanno dato ragione. Decine di dipartimenti sono passati dalla sinistra alla destra, ma il Front National, nonostante un consolidato consenso su scala nazionale, non governerà nemmeno un dipartimento. È questa la logica del sistema a doppio turno, ma anche la conseguenza della dinamica campagna elettorale guidata da Sarkozy.
L’analisi del voto nel suo complesso, conferma quattro tendenze — la fine del bipartitismo, il peso del Front Nazional, la competizione fra due destre anche in vista delle presidenziali, il crollo del partito socialista del presidente Hollande — e una drammatica certezza, la metà dei francesi non vota più.
Percentualmente, la sinistra resta oltre il 30 per cento, ma le divisioni al proprio interno sono esasperate e la stessa tenuta dell’esecutivo è in discussione.
Sarkozy ha preso le distanze da Marine Le Pen soltanto nella dimensione europeista, che è sempre più disprezzata dai partiti populisti. Questo rassicura gli ambienti finanziari e imprenditoriali, ma non basta a tranquillizzare gli alleati centristi dell’Udi e le correnti interne più ostili alla «contaminazione» frontista.
Anche nella destra gollista si annuncia quindi battaglia e saranno proprio le rivalità interne a mettere in discussione i sogni presidenziali di Sarkozy. Ma intanto, nella Francia che cambia pelle, il vincitore è colui che lo ha capito in un tempo ancora utile, prima cioè dell’implosione populista. Della Francia e dell’Europa
Questa domanda è stata ascoltata, strumentalizzata e capitalizzata negli ultimi anni dal Front National, primo partito alle europee, secondo ieri, ormai radicato nelle realtà locali, soprattutto nelle regioni del Nord, che votavano a sinistra, e nelle regioni del Sud, più conservatrici e sensibili al problema dell’insicurezza che sconvolge le zone turistiche dove vanno a svernare i pensionati.
Ma Sarkozy ha fatto compiere all’Ump, il partito gollista e repubblicano, uno spregiudicato salto culturale che in parte tradisce l’atteggiamento dei predessori — da Giscard a Chirac — secondo i quali nessuna contaminazione, né politica, né ideologica, era possibile con il Front National. Un atteggiamento che divideva inevitabilmente l’elettorato di destra, a beneficio della sinistra.
Sarkozy ha cavalcato tematiche care al Fronte: «I francesi non vogliono cambiare il loro modello di vita, sono pronti ad accogliere quelli che lo accettano», ha detto, esaltando un’idea di assimilazione culturale, rispetto alle tendenze comunitaristiche della società francese. E, al tempo stesso, non ha dato indicazioni di voto, laddove, nei ballottaggi, gli elettori di destra avrebbero dovuto scegliere fra un candidato di sinistra e uno del Front.
I risultati gli hanno dato ragione. Decine di dipartimenti sono passati dalla sinistra alla destra, ma il Front National, nonostante un consolidato consenso su scala nazionale, non governerà nemmeno un dipartimento. È questa la logica del sistema a doppio turno, ma anche la conseguenza della dinamica campagna elettorale guidata da Sarkozy.
L’analisi del voto nel suo complesso, conferma quattro tendenze — la fine del bipartitismo, il peso del Front Nazional, la competizione fra due destre anche in vista delle presidenziali, il crollo del partito socialista del presidente Hollande — e una drammatica certezza, la metà dei francesi non vota più.
Percentualmente, la sinistra resta oltre il 30 per cento, ma le divisioni al proprio interno sono esasperate e la stessa tenuta dell’esecutivo è in discussione.
Sarkozy ha preso le distanze da Marine Le Pen soltanto nella dimensione europeista, che è sempre più disprezzata dai partiti populisti. Questo rassicura gli ambienti finanziari e imprenditoriali, ma non basta a tranquillizzare gli alleati centristi dell’Udi e le correnti interne più ostili alla «contaminazione» frontista.
Anche nella destra gollista si annuncia quindi battaglia e saranno proprio le rivalità interne a mettere in discussione i sogni presidenziali di Sarkozy. Ma intanto, nella Francia che cambia pelle, il vincitore è colui che lo ha capito in un tempo ancora utile, prima cioè dell’implosione populista. Della Francia e dell’Europa
Massimo Nava
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