Pensioni flessibili, apertura di Poletti Quattro ipotesi allo studio del governo
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Sul tavolo del governo c’è poi l’ipotesi del reddito minimo, accennata dallo stesso presidente dell’Inps nell’intervista di ieri. È un vecchio pallino del professor Boeri, che prima ne aveva parlato come misura universale contro la povertà. E poi aveva proposto di limitarla alle persone più anziane, pur senza indicare una soglia d’età precisa. L’obiettivo sarebbe quello di una rete di protezione per gli esodati, quei lavoratori che dopo la riforma Fornero sono rimasti o rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione.
La terza ipotesi è il cosiddetto prestito pensionistico, studiato anche dal governo Letta ma mai attuato. In sostanza significa dare a chi esce in anticipo un piccolo assegno, tempo fa si era parlato di 700 euro al mese. Il «pre pensionato» lo dovrebbe restituire a rate una volta raggiunti i requisiti per l’uscita «normale» accettando però una riduzione dell’assegno. Non sarebbe una vera e propria flessibilità perché i limiti d’età resterebbero fermi e nel lungo periodo il gioco sarebbe a somma zero: quello che viene preso prima deve essere restituito dopo. Ma anche qui valgono i paletti di Bruxelles sulla flessibilità, raccontati dallo stesso Boeri: in materia di pensioni l’Unione europea vede solo l’aumento immediato della spesa ma non il fatto che più in là si risparmierà perché l’assegno sarà più basso per recuperare la somma anticipata.
L’ultima opzione, la quarta, è il ritorno alla cosiddetta integrazione al minimo. Di cosa si tratta? Chi ha cominciato a lavorare prima del 1995 aveva comunque a disposizione un paracadute: anche se i contributi versati erano pochi, la sua pensione non poteva essere più bassa di una somma pari a 502 euro, con l’eventuale differenza a carico dello Stato. Venti anni fa la riforma Dini ha eliminato quel paracadute. E le 51 mila pensioni liquidate finora con le nuove regole hanno un importo medio di 173 euro. Ben al di sotto della soglia di povertà. Nei giorni scorsi le Acli, le associazioni cristiane dei lavoratori, hanno lanciato una campagna per chiedere il ritorno dell’integrazione al minimo. Il costo stimato, per ora, è di 75 milioni l’anno. Ma è probabile che a regime la spesa salirebbe.
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