La cifra risparmiata dallo Stato in quattro anni è di tutto rispetto: 9,7 miliardi. Ma è niente rispetto a quella del cambio di metodo di calcolo della riforma Fornero: il passaggio totale al metodo contributivo porterà risparmi di 80 miliardi da qui al 2020 e addirittura di 300 miliardi entro il 2050.
La ricerca dello Spi Cgil è dunque il punto di partenza per cercare di dare più equità ad un sistema che proprio per la riforma Fornero è considerato «totalmente in sicurezza».
Il capitolo pensioni è difatti tornato improvvisamente d’attualità dopo la nomina a presidente dell’Inps di Tito Boeri che ha annunciato la volontà di ridare flessibilità al sistema e ha proposto di ricalcolare per tutti i pensionati l’assegno con il metodo contributivo.
Il tutto — parola del ministro Poletti — verrà deciso con la prossima legge di stabilità. E nel frattempo lo Spi e l’intera Cgil cercheranno di «trovare alleanze per evitare docce gelate», come sottolinea il segretario generale dello Spi Carla Cantone, «partendo dalla certezza che le modifiche alla Fornero non le dobbiamo discutere con Boeri, ma le vogliamo discutere con il governo».
Ecco allora le proposte. La prima riguarda la possibilità di applicare a tutti il 100 per cento di rivalutazione fino a 5 volte il minimo — circa 2500 euro lordi, meno di 2000 circa netti — e del 50 per cento per tutti gli importi superiori. Una modifica che costerebbe circa 350 milioni per ogni punto di inflazione l’anno.
La seconda e più strutturale riguarda i coefficienti di trasformazione: il parametro che lega il contributi versati e l’assegno che si riceverà. Lo Spi Cgil propone di modificare i coefficienti attuali — che vengono modificati ogni due anni e legati all’aspettativa di vita. La proposta è quella di usare il cosiddetto modello svedese: un calcolo che si basa sulla data di nascita e sull’età di maturazione del diritto alla pensione, in modo che si abbia almeno certezza del coefficiente minimo che determinerà l’importo della pensione.