Los Angeles, 5 colpi contro il senzatetto Polizia sotto accusa
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WASHINGTON È come vedere per la centesima volta un film. Un gruppo di agenti, un uomo disarmato, la colluttazione, gli spari, la morte di un «barbone», l’indignazione, gli esperti che commentano in tv, le richieste di indagini serie, i distinguo, il video che documenta l’episodio rilanciato su YouTube . Cambiano le città e i protagonisti, non l’America.
Questa volta è Los Angeles. E a documentare il fatto almeno un paio di filmati registrati da angolazioni diverse. Alcune pattuglie della polizia intervengono attorno alle 12, all’Isolato 500, San Pedro Street. Sono stati chiamati da qualcuno nelle vicinanze, sembra che si ci sia una lite tra i senza tetto che popolano il marciapiede. Cartoni, stracci, teloni che montano alla sera e dovrebbero togliere all’alba, ma spesso restano. Vicino ad uno di questi ricoveri di fortuna c’è un uomo, lo conoscono come «Africa» o «Camerun». Soprannome che indica vagamente il suo luogo d’origine e non dice molto di più su una persona che ha trascorso dieci anni in un ospedale per guai mentali.
Sei poliziotti, compreso un sergente, cercano di bloccare Africa, lui resiste o comunque non obbedisce come dovrebbe. Gli agenti lo afferrano con la forza, gli sparano con la pistola elettrica — il taser — per immobilizzarlo. Ma l’uomo non cede. I video mostrano una lotta confusa. C’è anche una seconda persona — una donna — che raccoglie il manganello caduto per terra e resta vicino alla «mischia». La prendono e la bloccano. Poi si sente uno dei funzionari gridare «ha preso la mia pistola». Si vedono i poliziotti con le armi spianate, risuonano gli spari. Almeno cinque. Africa è colpito da numerosi proiettili esplosi da due agenti e dallo stesso sergente. Per il senzatetto è finita sul marciapiede dell’Isolato 500.
Poiché siamo nel mezzo del giorno si raduna subito una piccola folla. Protestano per l’uso della forza, accusano la pattuglia di aver usato le armi quando era possibile immobilizzare la vittima con altri mezzi. Volano insulti. Arrivano altre pattuglie che si schierano attorno all’area per prevenire disordini e permettere, allo stesso tempo, le verifiche. E si parte ovviamente dal filmato, unito a quello registrato da due telecamere indossate dagli agenti intervenuti. «È una tragedia — afferma il comandante Andrew Smith —. E guardare quelle immagini mette angoscia». Il suo superiore, Steve Soboroff, assicura che l’inchiesta sarà svolta in profondità, con due percorsi paralleli, uno della procura e l’altro del dipartimento: «Queste sono situazioni terribili». Dove l’attenzione si concentra sull’aspetto chiave: Africa ha davvero cercato di impadronirsi dell’arma?
Le associazioni umanitarie presenti nella zona non sembrano sorprese da quanto è avvenuto. Gli incidenti tra senza tetto e poliziotti sono quasi quotidiani. I primi bivaccano sul marciapiede, i secondi intervengono ogni tanto. Sembra che Africa fosse già stato coinvolto in uno scontro con gli agenti, una situazione dove l’uomo aveva sfidato una pattuglia: «Forza, arrestatemi». Ma nulla di particolare, una cosa normale in un quadro di disagio estremo e miseria.
È chiaro però che la storia di Los Angeles non può non finire in quell’elenco di morti caduti sotto il fuoco di agenti non sempre preparati. O forse troppo addestrati nell’uso delle armi e poco in procedure meno letali. Dopo il caso di Ferguson, Missouri, con il giovane di colore ucciso in mezzo alla strada da un poliziotto, altri ne sono seguiti. Un messicano crivellato di proiettili, una persona con disturbi mentali finita allo stesso modo, un ragazzino di 12 anni colpito a morte perché impugnava una pistola giocattolo. Vero è che le forze dell’ordine sono spesso chiamate ad operare in quartieri difficili, dove le armi in mano ai criminali sono una presenza costante. Ma al tempo stesso è chiaro che la risposta di chi interviene dovrebbe essere proporzionata alla minaccia. Africa non sembrava certo uno spietato killer.
Guido Olimpio
Sei poliziotti, compreso un sergente, cercano di bloccare Africa, lui resiste o comunque non obbedisce come dovrebbe. Gli agenti lo afferrano con la forza, gli sparano con la pistola elettrica — il taser — per immobilizzarlo. Ma l’uomo non cede. I video mostrano una lotta confusa. C’è anche una seconda persona — una donna — che raccoglie il manganello caduto per terra e resta vicino alla «mischia». La prendono e la bloccano. Poi si sente uno dei funzionari gridare «ha preso la mia pistola». Si vedono i poliziotti con le armi spianate, risuonano gli spari. Almeno cinque. Africa è colpito da numerosi proiettili esplosi da due agenti e dallo stesso sergente. Per il senzatetto è finita sul marciapiede dell’Isolato 500.
Poiché siamo nel mezzo del giorno si raduna subito una piccola folla. Protestano per l’uso della forza, accusano la pattuglia di aver usato le armi quando era possibile immobilizzare la vittima con altri mezzi. Volano insulti. Arrivano altre pattuglie che si schierano attorno all’area per prevenire disordini e permettere, allo stesso tempo, le verifiche. E si parte ovviamente dal filmato, unito a quello registrato da due telecamere indossate dagli agenti intervenuti. «È una tragedia — afferma il comandante Andrew Smith —. E guardare quelle immagini mette angoscia». Il suo superiore, Steve Soboroff, assicura che l’inchiesta sarà svolta in profondità, con due percorsi paralleli, uno della procura e l’altro del dipartimento: «Queste sono situazioni terribili». Dove l’attenzione si concentra sull’aspetto chiave: Africa ha davvero cercato di impadronirsi dell’arma?
Le associazioni umanitarie presenti nella zona non sembrano sorprese da quanto è avvenuto. Gli incidenti tra senza tetto e poliziotti sono quasi quotidiani. I primi bivaccano sul marciapiede, i secondi intervengono ogni tanto. Sembra che Africa fosse già stato coinvolto in uno scontro con gli agenti, una situazione dove l’uomo aveva sfidato una pattuglia: «Forza, arrestatemi». Ma nulla di particolare, una cosa normale in un quadro di disagio estremo e miseria.
È chiaro però che la storia di Los Angeles non può non finire in quell’elenco di morti caduti sotto il fuoco di agenti non sempre preparati. O forse troppo addestrati nell’uso delle armi e poco in procedure meno letali. Dopo il caso di Ferguson, Missouri, con il giovane di colore ucciso in mezzo alla strada da un poliziotto, altri ne sono seguiti. Un messicano crivellato di proiettili, una persona con disturbi mentali finita allo stesso modo, un ragazzino di 12 anni colpito a morte perché impugnava una pistola giocattolo. Vero è che le forze dell’ordine sono spesso chiamate ad operare in quartieri difficili, dove le armi in mano ai criminali sono una presenza costante. Ma al tempo stesso è chiaro che la risposta di chi interviene dovrebbe essere proporzionata alla minaccia. Africa non sembrava certo uno spietato killer.
Guido Olimpio
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