L’Onu: «Accordo in Libia a portata di mano»

L’Onu: «Accordo in Libia a portata di mano»

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Difficile condurre un negoziato tra i morti e le bombe.  Eppure, pur riconoscendo quanto sia difficile l’impresa, Bernardino León, inviato dell’Onu per la Libia, continua a macinare incontri, ad aggiornare le proposte e, soprattutto, a essere ottimista. «C’è la possibilità di fare passi in avanti e di avere i primi nomi per il governo di unità nazionale entro la settimana. Non voglio creare aspettative troppo alte, sapendo quanto sia complicata la situazione sul terreno. Ma faremo del nostro meglio per cogliere questa occasione», ha dichiarato il diplomatico delle Nazioni Unite a Bruxelles, al termine dell’incontro con 34 sindaci delle città libiche. Al suo fianco Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha chiarito «qual è il problema»: «dobbiamo capire se c’è da parte di chi sta trattando lo scatto per riprendere in mano il destino del proprio Paese». Se così sarà, ha aggiunto Mogherini, «la Ue e tutta la comunità internazionale, questa volta, sono disposte ad aiutare seriamente». Niente soldati in campo, precisa ancora una volta l’Alto rappresentante, «ripeto che non stiamo preparando un intervento militare. Non è questa la soluzione. Abbiamo bisogno, invece, di un governo di unità nazionale, di un processo guidato dalla Libia. Le parti smettano di combattere tra loro per iniziare a combattere l’Isis».
Le parole dell’Onu e dell’Ue sono state accolte con un raid aereo ordinato dall’esercito di Tobruk, la città dove ha sede l’unico dei due parlamenti libici riconosciuto a livello internazionale. Opposte anche le versioni dell’accaduto. Secondo Tobruk, sarebbe stato colpito un deposito di armi controllato dalle milizie islamiche a Tarhuna, a circa 80 chilometri a sud-est di Tripoli. «Non abbiamo depositi in quella zona», è stata la replica del portavoce militare degli islamici di Fajr Libia, padroni della capitale. Le bombe sarebbero cadute, invece, su un campo di rifugiati: otto morti. In un tweet l’ambasciatrice americana Deborah Jones, che non si trova più in Libia, segnala lo stesso numero di vittime, confermando anche che l’obiettivo dell’attacco era un insediamento di profughi della tribù Tawergha.
Ma il bollettino di guerra non è finito. Sempre ieri la contraerea di Zintan, città a 120 chilometri a sud di Tripoli, ma alleata con l’esercito di Tobruk, ha abbattuto un caccia di Fajr Libia. Ucciso uno dei piloti, mentre l’altro è stato catturato. Nel frattempo resta ancora da capire la portata dell’offensiva lanciata giovedì scorso nell’ovest del Paese dal generale Khalifa Haftar, una specie di bulldozer lanciato contro la sofisticata costruzione diplomatica di León. Haftar è il titolare delle divisioni di Tobruk e non nasconde il suo piano: spazzare via gli islamici e i loro alleati di Misurata. Le pressioni del generale si traducono in una grande rigidità della delegazione di Tobruk al tavolo Onu.
Tuttavia León prova a stringere. Lo schema messo a punto prevede una terna al comando dell’esecutivo. Il primo ministro dovrebbe essere una figura terza, di competenza e prestigio riconosciuta in tutto il Paese. Sarebbe affiancato da due vice premier: uno indicato da Tripoli, l’altro da Tobruk. Ciascuno di loro avrebbe il potere di veto sulle decisioni più importanti. La discussione è arrivata fin qui. Ora servono i nomi per riempire le caselle e provare a dare una testa alla Libia.
Giuseppe Sarcina


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