Libia, l’Onu lavora a un governo di unità

Libia, l’Onu lavora a un governo di unità

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NEW YORK Mai tanto grave la minaccia della diffusione del terrorismo del «califfato» in Libia, con gli uomini dell’Isis a Derna e nella Sirta che per la prima volta sono passati da attentati spaventosi ma circoscritti a vere e proprie offensive militari. Ma anche mai così vicina la possibilità di far tacere le armi nella guerra civile che dilania la Libia, dando vita a un governo provvisorio di unità nazionale: le fazioni in lotta si stanno rendendo conto che del conflitto beneficerà solo il sedicente Stato islamico.
Criticato da più parti per gli scarsi risultati fin qui ottenuti dalla sua azione diplomatica, il mediatore dell’Onu, lo spagnolo Bernardino León, ha sintetizzato così la situazione illustrando ieri al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il lavoro fin qui fatto per riprendere il negoziato tra le fazioni.
Tentativi fin qui falliti in un clima di guerra di tutti contro tutti. Ma proprio la minaccia dell’Isis che cerca di sfruttare i conflitti interni per impadronirsi del Paese, sta spingendo le parti in lotta a tornare al tavolo del negoziato. León, che si è collegato in videoconferenza con l’Onu di New York dalla sede della Fao a Roma, ha annunciato che la trattativa riprenderà già oggi in un incontro tra le fazioni in lotta che si svolgerà in Marocco, a Rabat.
Non è il primo summit di questo tipo e quelli precedenti, l’ultimo a Ghadames, in febbraio, sono falliti. Ma ora León è ottimista. Indica addirittura un ordine del giorno articolato in tre punti: creazione di un governo provvisorio di unità nazionale; definizione di una serie di condizioni per garantire la tenuta della tregua; redazione di una nuova Costituzione.
Programma assai ambizioso, ogni dubbio è lecito. Ma León continua a godere del pieno appoggio delle Nazioni Unite: ieri, nonostante il rappresentante del governo di Tobruk, l’unico riconosciuto sul piano internazionale, avesse chiesto la fine dall’embargo sulla fornitura di armi in modo da poter combattere con più efficacia i jihadisti, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha deciso di attendere l’esito della mediazione di León prima di ogni decisione.
Il mediatore ha incassato anche il pieno appoggio del nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che ha incontrato a Roma, nonostante l’Italia, il Paese che ha di gran lunga più influenza sulla Libia e più interessi in Libia, aspiri a svolgere un ruolo ben maggiore di quello attuale nella gestione della crisi esplosa non lontano dalle coste della Penisola.
Se uno spiraglio si aprirà davvero, non sarà solo merito della mediazione León. Sono in parecchi a muoversi: se l’Egitto l’ha fatto con le armi, dopo l’uccisione di 21 suoi lavoratori copti da parte dell’Isis, l’Italia è attivissima sul piano diplomatico e rilancia la sua candidatura a un seggio nel Consiglio di Sicurezza Onu essendo, tra l’altro, il Paese occidentale che dà il maggiore contributo alle missioni dei «caschi blu». Ma si muovono anche altri: il governo algerino ha reso noto che nei giorni scorsi ad Algeri si è svolto un incontro segreto al quale hanno partecipato 200 capi politici e militari delle varie fazioni in lotta in Libia alla ricerca di un compromesso.
Incontri che dovrebbero riprendere nella capitale algerina dopo la conferenza che si terrà oggi in Marocco e che, evidentemente, nessuno pensa che possa essere risolutiva.
León cerca di stringere i tempi dell’accordo proprio agitando la minaccia Isis. Ma il generale Khalifa Haftar (in teoria al servizio del debole governo di Tobruk, in realtà capo brutale e autonomo) annuncia di aver circondato Derna, la roccaforte del «califfato»: è pronto a bombardarla.
Intanto si continua a combattere ovunque in questo Paese con un governo legittimo asserragliato a Tobruk, mentre a Tripoli governano gli islamisti. Ieri l’Isis ha conquistato alcuni pozzi petroliferi nell’area controllata da Tripoli, mentre Zintan, città-Stato fedele al governo di Tobruk, ma dalla parte opposta del Paese, è stata bombardata da misteriosi Mig.
Massimo Gaggi


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