Perché avete scelto di chiamare la vostra lista unificata l’Unione Sionista?
«L’idea di sionismo con cui siamo cresciuti è quella propugnata dai padri fondatori della nazione. Come disse David Ben Gurion, il leader storico del mio partito, il Sionismo è il movimento che accomuna tutto il popolo di questo paese, che consente a tutti di vivere adeguatamente e cercare la felicità, che fa appello alla convivenza con i nostri vicini ed alla giustizia sociale. Ci sono elementi nella nostra società che pensano di avere l’esclusiva del Sionismo, mentre lo stanno portando molto lontano dal posto dove dovrebbe essere. Adesso gli elettori hanno un’alternativa».
Con quale piano pensa di convincere gli elettori?
«Da premier mi concentrerò su tre temi. Un piano socio-economico che cambierà totalmente la situazione attuale con grandi “correzioni” sul piano sociale. Tenterò di riprendere il processo di pace con i nostri vicini palestinesi, basandomi sulla piattaforma originale dei negoziati, e ricomporremo i rapporti con gli Usa».
Lei parla di trattare ancora con i palestinesi, ma il “ministro della difesa” designato del suo partito sostiene che il meglio che si possa fare è di «gestire il conflitto, non risolverlo». Quando lei dice di essere l’unica alternativa a Netanyahu, parla anche di pace?
«Assolutamente sì. Parlo di riattivare il processo bilaterale, sulla base della piattaforma internazionale di cui fanno parte anche i nostri vicini, Egitto e Giordania. Dobbiamo essere lucidi: non so di che umore sarà la leadership palestinese dopo il 17 marzo. Può darsi che troverò una leadership così infatuata dei propri atti unilaterali, compreso il ricorso al Tribunale dell’Aja, che ritengo totalmente inaccettabile, che non offrirà di tornare al negoziato. Ora le nostre relazioni con i palestinesi non sono le migliori, ma se vogliamo procedere dobbiamo ricostruire la fiducia. Abbiamo bisogno di parlare faccia a faccia ed è ciò che intendo fare. Non posso promettere il 100% dei risultati, posso promettere solo il 100% degli sforzi».
Questo comprende anche lo stop all’espansione delle colonie nei Territori occupati?
«Per ricostruire i rapporti di fiducia ho intenzione di bloccare le costruzioni nelle colonie al di là dei “blocchi di insediamenti”, che consideriamo vitali alla sicurezza di Israele. Ripeto, non so di che attitudine avranno i palestinesi, ed in ogni caso il ripristino dei rapporti di fiducia richiede bilateralismo. Il nostro obiettivo è di fare cessare gli attacchi ad Israele».
Per ricostruire la fiducia, sarebbe disposto anche a liberare parte dei detenuti palestinesi? A sdoganare Hamas?
«Abbiamo criticato Netanyahu per questo. Ma il nostro approccio gode l’appoggio della maggioranza dell’establishment di sicurezza del paese. Abbiamo intenzione di lanciare un appello internazionale per la ricostruzione di Gaza, ma il nostro obiettivo principale è la sicurezza di Israele. Non tratteremo con Hamas e non libereremo i suoi prigionieri».
Lei è disposto a formare una coalizione di governo con la Lista Araba Unificata?
«Non so che coalizione sarò in grado di formare, perché questo dipende dai risultati delle elezioni. Farò del mio meglio per superare la soglia dei 30 seggi, e chiunque accetti le linee guida del mio programma potrà entrare nella coalizione. I partiti arabi hanno detto più di una volta che non intendono fare parte di nessuna coalizione. Non posso fare altro che accettarlo».
Lei ha detto che nessun leader israeliano è disposto ad accettare un Iran nucleare.
Che ne pensa dell’accordo che si prospetta fra Usa e Iran?
«Mi aspetto che americani ed europei prendano una posizione netta nei confronti di Teheran, il che significa che preferisco un accordo internazionale, condizionato al fatto che sia un accordo “corazzato”, senza scappatoie. Ritengo che debba comprendere un paragrafo che impedisca all’Iran di sviluppare la bomba. Che è una minaccia per Israele, per tutti i Paesi moderati nel Medio Oriente e quindi per la pace nel mondo».