Italia-Russia. Le strategie oltre gli affari

by redazione | 5 Marzo 2015 9:25

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È un varco stretto e molto sdrucciolo, ma inevitabile, quello nel quale Matteo Renzi conduce oggi la politica estera italiana. La prima visita a Mosca del presidente del Consiglio si muove nell’eterno dilemma platonico di dover conciliare le esigenze della verità con quelle dell’amicizia, quest’ultima con la non trascurabile aggiunta delle nostre priorità strategiche. Sulla prima parte del rovello, ieri Renzi non ha lasciato margini aperti a interpretazioni, nella tappa ucraina del suo viaggio: pieno sostegno all’indipendenza e alla sovranità di Kiev, totale adesione all’azione tedesco-francese che ha portato alla nuova intesa di Minsk, da onorare e applicare in ogni sua parte, come pre-condizione di un allentamento delle sanzioni alla Russia.
Tenere il punto sulla «verità», cioè sulla violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, è essenziale ma tuttavia non sufficiente. Ed è questo il senso della scommessa, non priva di rischi, del capo del governo. «È urgente e necessario ricostruire un rapporto con la Russia. Non possiamo contribuire al suo isolamento e allontanamento dal contesto europeo, che come già si può intravedere resusciterebbe le ossessioni bicontinentali di Mosca, spingendola suo malgrado verso Oriente, la Cina in primo luogo» dice un autorevole osservatore. Vero per tutti gli europei, è imperativo per l’Italia. A Mosca Renzi porta infatti una valigia piena di dossier, nei quali il «ritorno della Russia al tavolo internazionale» è la strada obbligata per lavorare con qualche possibilità di successo alla soluzione delle troppe crisi aperte. La tela di fondo è quella del Grande Medio Oriente e del Mediterraneo, dove più di ogni altro Paese europeo l’Italia ha la sua vera priorità strategica, che coincide con un crescente attivismo russo nella regione e nel Mare Nostrum. Di più, contro la vicina minaccia rappresentata dall’Isis e dal terrorismo islamico Roma ha proprio nel Cremlino il partner potenziale, che per storia ed esperienza recente (ricordiamo Beslan) è in grado di capirne le ansie profonde e fornire aiuto prezioso. Libia, Iran, Siria, Iraq sono i teatri di interesse comune, dove Renzi sa che il contributo del Cremlino può essere il game changer , quello che cambia la partita. Certo la disponibilità di Putin a spendersi per la crisi libica, per esempio agendo con più determinazione all’Onu o addirittura appoggiando un blocco navale anti-Isis, è tutta da verificare. Più facile sarà sollecitare il Cremlino a raddoppiare gli sforzi, magari offrendo qualche sponda a Teheran perché faccia alcune concessioni nella trattativa sul nucleare iraniano. Il rientro dell’Iran nella comunità internazionale potrebbe infatti costituire la svolta decisiva nella lotta contro l’Isis, in Siria come in Iraq.
Un problema per Renzi può essere la complessa personalità di Vladimir Vladimirovich. «Nella divisione caratteriale dostojevskiana dei russi, tra scacchisti e giocatori d’azzardo, Putin appartiene a questa seconda categoria. E come tutti i gambler è sollecitato da fattori esogeni estemporanei» spiega il nostro osservatore. Non è una ragione per non provarci. Come non si stanca di ripetere Romano Prodi, sostenitore del recupero di un dialogo con Mosca, l’Occidente e la Russia dopo la fine della Guerra Fredda hanno sprecato «l’immensa occasione di creare un ordine cooperativo euro-atlantico».
Ma sulla Moscova Renzi trova ad accoglierlo un altro cri de coeur , quello delle aziende italiane, colpite dalla doppia mannaia delle sanzioni e della crisi economica russa, innescata soprattutto dal crollo dei corsi mondiali dell’energia. Nel 2014, il salasso dell’interscambio italo-russo è stato di 5,3 miliardi di euro, una contrazione di oltre il 17% sull’anno precedente. Se n’è parlato all’inizio della settimana a Milano al Foro di dialogo italo-russo, cornice in cui si muovono personaggi come Luisa Todini, presidente di Poste italiane, o Antonio Fallico, capo di Banca Intesa Russia. Il presidente del Consiglio incontrerà stamane i rappresentanti del made in Italy a Mosca. «Gli diremo delle nostre preoccupazioni e gli chiederemo un cambio di passo — racconta uno di loro, capo di una grossa azienda italiana —. Anche perché gli investimenti nelle grandi opere non si fermano nonostante la crisi. E se le commesse non le avranno i gruppi italiani, ci sono nuovi partner commerciali pronti a prendere il nostro posto». Non potrà offrir più di tanto su questo fronte, il presidente del Consiglio. Ma potrà rendersi conto plasticamente che per l’Italia, in Russia, sono in gioco sia valori che interessi. Verità e amicizia, appunto. E la sfida sta proprio nel cercare di conciliarli.
Paolo Valentino
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