Istat, più propaganda che occupazione

Istat, più propaganda che occupazione

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L’occupazione è cre­sciuta a gen­naio di 131 mila unità, un dato che con­ferma il lieve incre­mento già regi­strato a dicem­bre 2014, men­tre la disoc­cu­pa­zione ha regi­strato un’impercettibile fles­sione dello 0,1% (12,6%). Il tasso annuale con­ferma la situa­zione più grave dal 1977, quando sono ini­ziate le serie sto­ri­che sta­ti­sti­che: a dicem­bre era infatti al 12,7%, in aumento di 0,6% punti rispetto al 2013.

Per il mini­stro del Lavoro Giu­liano Poletti sono «dati inco­rag­gianti» che miglio­re­ranno quando il Jobs Act entrerà in vigore, pro­du­cendo «150mila occu­pati in più». Il pre­si­dente del Con­si­glio Renzi ha twit­tato: «Più 130 mila posti di lavoro nel 2014, bene ma non basta». Poche sil­labe ama­ro­gnole che hanno dato il via ad una danza della piog­gia in tutto il Pd. Uno per tutti il respon­sa­bile eco­no­mico del Pd, Filippo Tad­dei che ha detto: «Que­sti sono i primi veri segnali di cre­scita da con­so­li­dare con le riforme».

Per sgom­be­rare, ancora una volta, il campo da que­sti equi­voci biso­gna tut­ta­via leg­gere inte­ra­mente il report sui dati prov­vi­sori di gen­naio e quello sul quarto tri­me­stre dif­fuso ieri dall’Istat. Ciò che conta infatti non è solo la “quan­tità” ma la “qua­lità” dell’occupazione, i sog­getti e la durata del loro impiego. Si viene così a sco­prire che l’aumento che fa fibril­lare la mag­gio­ranza che ha votato il Jobs Act è pro­dotto da un boom del pre­ca­riato così com­po­sto: c’è chi cerca una prima occu­pa­zione, chi ha un con­tratto a tempo par­ziale e chi ha dovuto accet­tare un part-time invo­lon­ta­rio, cioè i lavori accet­tati in man­canza di occa­sioni di impiego a tempo pieno.

A con­ferma che il fla­tus vocis della cre­scita, con­fer­mata ieri anche da Euro­stat in Europa, non pro­durrà occu­pa­zione sta­bile (si chiama jobless reco­very) l’Istat sostiene che nel quarto tri­me­stre del 2014 gli occu­pati a tempo pieno hanno regi­strato una cre­scita mode­sta (+0,2%, pari a 28 mila unità). Ciò che ha creato 128 mila nuovi occu­pati (+3,2%) sono stati gli occu­pati a tempo par­ziale e soprat­tutto coloro che lavo­rano con il part-time invo­lon­ta­rio che in Ita­lia riguarda il 64,1% dei lavo­ra­tori a tempo par­ziale (era il 62,1% nel 2013). A dimo­stra­zione di tale anda­mento, l’Istat pre­senta i seguenti dati: per il terzo tri­me­stre con­se­cu­tivo è con­ti­nuata la cre­scita dei dipen­denti a ter­mine (+6,6%, pari a 145 mila unità sulla ten­denza) e quella dei col­la­bo­ra­tori (+8,9%, pari a 31 mila unità).

La mag­gior parte di que­sto aumento è dovuto all’occupazione degli stra­nieri (+113 mila), men­tre tra gli ita­liani è di 44 mila unità. Pas­sando alla distri­bu­zione geo­gra­fica, si sco­pre che la cre­scita è con­cen­trata nel centro-nord, pre­mia più le donne (+0,6%, pari a 57 mila unità) che gli uomini, ed è forte nei set­tori dell’informazione, comu­ni­ca­zione, cre­dito e assi­cu­ra­zioni, e quello dei ser­vizi alle fami­glie. Sul totale degli occu­pati i dipen­denti a ter­mine nei ser­vizi sono cre­sciuti al 10,4%, i col­la­bo­ra­tori del 8,9% (31 mila unità). Oltre ai ser­vizi, c’è l’industria dove si regi­stra una cre­scita da due tri­me­stri e soprat­tutto nei ser­vizi (+1,2%, 180 mila unità). Sem­pre peg­gio, invece, le costru­zioni: –7 %, –109 mila unità.

Con la decon­tri­bu­zione alle imprese e il Jobs Act, Renzi, Poletti, Tad­dei e Sac­coni (ieri è arri­vato a defi­nire il Jobs Act «una riforma libe­rale») inten­dono far cre­scere ancora que­sta tipo­lo­gia di occu­pa­zione: a breve ter­mine, scar­sa­mente qua­li­fi­cata, sog­getta al potere discre­zione del datore di lavoro di licen­ziare (o meglio: non rin­no­vare il con­tratto). Que­sta è la ten­denza descritta dall’Istat che da tempo regi­stra «la cre­scita dei dipen­denti a ter­mine (+6,6%, pari a 145 mila unità nel raf­fronto ten­den­ziale) e quella dei col­la­bo­ra­tori (+8,9%, pari a 31 mila unità)».

Ieri l’Istat ha regi­strato un lieve calo con­giun­tu­rale della disoc­cu­pa­zione. A gen­naio 2015 quella gene­rale era pari al 12,6% (dal 12,7%), ma nel 2013 era al 12,1%. Quella “gio­va­nile” (15–24 anni) è dimi­nuita di due punti in un anno al 41,2%, ma que­sto non signi­fica che siano dimi­nuiti gli inat­tivi, cioè coloro che rinun­ciano a cer­care lavoro. I cosid­detti “Neet” sono 4 milioni 415 mila, in aumento dello 0,2% nel con­fronto con­giun­tu­rale (+7 mila) e dell’1,1% su base annua (+47 mila). Ciò non toglie che qual­cuno tra loro svolga lavori pre­cari che non ven­gono regi­strati dalle sta­ti­sti­che uffi­ciali. L’impegno del governo sarebbe quello di far rie­mer­gere que­sto lavoro nero o gri­gio. Il fal­li­mento della “garan­zia gio­vani” non lascia tut­ta­via molte speranze.

Sulla cre­scita dell’occupazione auspi­cata ieri dal governo pesa anche un altro dato dell’Istat: i con­sumi e gli inve­sti­menti fissi lordi restano al palo e, anzi, dimi­nui­scono (-3,3%), men­tre la pres­sione fiscale ha rag­giunto il 43,5% del Pil (+0,1% rispetto al 2013). Sono i dati della reces­sione: nel 2014 il Pil si è fer­mato a –0,4%.



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