Israele, governo alla destra è il trionfo di Netanyahu Gelo con la Casa Bianca

by redazione | 19 Marzo 2015 9:01

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GERUSALEMME . L’avevano dato per spacciato perfino alla Casa Bianca e invece Benjamin Netanyahu ha dimostrato ancora una volta di essere “King Bibi”. Una formidabile ripresa, dovuta soprattutto al suo battersi come un leone fino all’ultimo secondo, ha consegnato al Likud una vittoria sorprendente al voto in Israele. Trenta deputati su 120 assicurano al premier uscente la certezza di essere il primo a cui il presidente Reuven Rivlin darà l’incarico di formare il nuovo governo. Nella ventesima Knesset siederanno 24 deputati dell’Unione sionista, l’alleanza di centro-sinistra guidata da Yitzhak Herzog che ieri di buon mattino ha riconosciuto la sconfitta augurando «buona fortuna» all’avversario. «La nostra corsa non finisce qui», ha promesso Herzog ai suoi sostenitori, annunciando che Unione sionista non accetterà di entrare in un governo di unità nazionale — una soluzione caldeggiata dal presidente Rivlin — e farà «un’opposizione dura e rigorosa». L’uomo che parte di Israele ama e un’altra ama odiare, è già al lavoro per tentare di mettere insieme una coalizione di governo che promette «entro duetre settimane». Scontata l’intesa con Focolare ebraico — il partito dei coloni — in discesa con 8 seggi, e i due partiti religiosi che hanno superato lo sbarramento del 3,5%, Shas e Ebraismo unito della Torah (13 seggi), il “falco” nazionalista Avigdor Lieberman, capo di Israel Beiteinu (5 seggi). Ma Netanyahu guarda soprattutto a Moshe Kahlon, il suo ex ministro delle Telecomunicazioni, che con i 10 seggi del partito-matricola Kulanu, di centro-destra, è l’ago della bilancia. Kahlon ha già dato la sua disponibilità a entrare in un governo «focalizzato sugli aspetti sociali» e questa squadra, se concretizzata, assicurerebbe a Netanyahu una maggioranza di 67 seggi. Festeggia la Lista araba congiunta, che nelle urne ha raggiunto un obiettivo ritenuto impensabile fino a pochi mesi fa. È il terzo partito con 14 seggi, subito dopo il Likud e l’Unione sionista.
Dopo le bordate delle ultime ore prima del voto — con l’anatema sullo Stato palestinese e la promessa di espandere gli insediamenti colonici — ieri Netanyahu non si è sbilanciato su quelle posizioni che hanno lasciato di stucco la comunità internazionale e messo il Likud su una linea nella quale diversi dei suoi quadri non si riconoscono più. I suoi tre “no” — no al compromesso, no alla cessione dei Territori, no allo Stato palestinese — hanno suscitato forti reazioni dominate dal pessimismo anche a Ramallah. I palestinesi annunciano che le parole di Netanyahu imprimono ancora maggior convinzione nel ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja e nel lavoro alle Nazioni Unite per il riconoscimento della Palestina come Stato.
Tra le telefonate di complimenti ricevute da Netanyahu è arrivata anche quella del segretario di Stato americano John Kerry, ma non ancora quella del presidente Barack Obama, che chiamerà nei «prossimi giorni». Il gelo fra i due leader è palpabile da tempo e le parole di Netanyahu sono state uno schiaffo alla Casa Bianca e ai suoi tentativi di rimettere sul binario il negoziato. «Gli Stati Uniti restano impegnati nella soluzione dei due Stati », ha fatto sapere il portavoce presidenziale, ma anche che gli Usa alla luce delle posizioni espresse «stanno rivalutando il loro approccio ». Anche l’Onu e la rappresentante europea per la politica estera Federica Mogherini hanno chiesto a Israele di restare impegnato nel negoziato, un appello più che un invito.
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