Il generale Haftar assedia Tripoli Ma l’Onu gli intima di fermarsi

by redazione | 22 Marzo 2015 18:58

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Un’offensiva lanciata dalle milizie alleate al governo di Tobruk contro quelle legate ai Fratelli Musulmani a Tripoli con poche, se non nulle, possibilità di vittoria sul campo. Ma il cui fine, più che militare, è politico: boicottare con le bombe le possibilità di successo dei negoziati diplomatici e la mediazione europea per la creazione di un governo di unità nazionale in Libia. È questa l’interpretazione più diffusa tra gli osservatori libici e gli ambienti diplomatici occidentali dell’attacco in corso dall’altra notte verso la capitale.
Le notizie che arrivano dagli scenari dello scontro sono confuse, difficile distinguere tra realtà e propaganda. Pare assodato che alcune colonne armate, per un numero complessivo di miliziani che varia a seconda delle fonti da 400 a 1.000, siano partiti dalle alture a sud di Tripoli scontrandosi con i fedeli alla coalizione di milizie alleate ai combattenti islamici legati a Fajr Libya , Alba Libica. L’offensiva maggiore parte dalla cittadina di Zintan, 160 chilometri a sud-ovest della capitale, patria della milizia che nel 2011 si distinse nelle battaglie contro i lealisti di Gheddafi per la presa di Tripoli. L’anno scorso Alba Libica era riuscita a scacciarla dall’aeroporto internazionale e da allora i leader di Zintan pianificano il ritorno. Al loro fianco stanno adesso uomini dei Warfallah, Bani Walid, Tarhouna, Warshafana: paradossalmente tutte tribù che quattro anni fa costituivano il nerbo del fronte pro-Gheddafi, ma oggi temono le ingerenze dei Fratelli Musulmani e soprattutto la crescita dello Stato Islamico (Isis) tra Derna, Bengasi, Sirte e persino Tripoli.
A contribuire alla loro avanzata, i raid dell’aviazione agli ordini del generale Khalifa Haftar, da poco dichiarato comandante delle forze militari che obbediscono al governo di Tobruk e al premier Abdullah al Thani. Ieri Ahmed al Mesmari, portavoce di Haftar, ha confermato l’intenzione di «liberare la capitale da milizie e banditi». I loro caccia (aiutati da Egitto ed Emirati Arabi) hanno colpito vari obiettivi, tra cui alcuni quartieri di Tripoli, zone attorno all’aeroporto, la base aerea di Mitiga (unica pista funzionante della capitale, Alba Libica la utilizza per ricevere armi e volare all’estero) e quella di Zuwara sulla costa. Sul terreno hanno conquistato le cittadine di Azizia, Zawyia, Nasiriya, Amirya e altri piccoli centri posti ad una quarantina di chilometri dalle periferie meridionali di Tripoli. Pare che un importante comandante di Alba Libica, Salah Burki, sia rimasto ucciso nei bombardamenti.
Tuttavia, si tratta ancora di centri secondari. Fonti a Bengasi e Tripoli ribadiscono che in realtà le forze a disposizione di Haftar non sono in grado di debellare gli avversari. Nel frattempo Alba Libica e i suoi alleati si riorganizzano. I militanti di Isis a Sirte promettono sui social media che renderanno «Sirte e Misurata come Falluja e Mosul», riferendosi alle città irachene dove i radicali islamici hanno combattuto con maggior successo.
A detta degli osservatori più attenti, uno dei motivi che spingerebbe Haftar e il governo di Tobruk a continuare l’offensiva sarebbero le pressioni del Cairo, assolutamente contrario a qualsiasi tipo di compromesso con i Fratelli Musulmani. Oltre a una considerazione evidente: gli uomini al governo di Tobruk sanno che la priorità europea è oggi più che mai quella di arginare Isis, alla fine dunque si preferirà l’alleanza con loro piuttosto che Alba Libica.
Lorenzo Cremonesi
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