Documenti e mail inchiodano Apple “Dichiarati 150 milioni su 9 miliardi”

by redazione | 25 Marzo 2015 11:58

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MILANO . Vendere in Italia e incassare in Irlanda. Con questo giochetto, la Apple avrebbe portato all’estero in sette anni 9,38 miliardi di euro contro un fatturato complessivo dichiarato al Fisco italiano di 150 milioni. Ora l’Agenzia delle Entrate, delle Dogane e la procura di Milano si sono unite per dar la caccia a circa 880 milioni di euro di Ires (l’imposta sulle aziende) evasa tra il 2008 e il 2013 che sale a quasi 990 milioni se si conta anche il 2014.
Il colosso di Cupertino opera in tutto il mondo col medesimo schema. Due società irlandesi si occupano delle vendite globali, la Apple operation international per l’America e la Apple sales International per il resto del mondo. A fronte di redditi per 30 miliardi e un fatturato di 74 miliardi di dollari le due società non hanno presentato alcuna dichiarazione dei redditi né pagato alcuna imposta ad alcun governo nazionale. Nemmeno a quello degli Stati Uniti. E ora hanno in pancia una liquidità di oltre 100 miliardi di dollari.
L’inchiesta italiana punta a dimostrare che in realtà a gestire le vendite non sono le due società irlandesi (la Apple sales international per l’Italia), ma una struttura occulta che, sotto lo schermo di Apple Italia, opera con una stabile organizzazione sull’intero territorio nazionale. E quindi le imposte devono essere pagate là dove gli iPad, gli iPhone e i Mac vengono realmente venduti. In Irlanda grazie a un accordo (tax ruling) con il governo locale che la Commissione europea ha bollato come aiuto di Stato, la Apple ha ottenuto di pagare tasse ridottissime, prossime allo zero. E finora nel resto del mondo, compresi gli Stati Uniti, è riuscita, sfruttando le varie lacune normative, a essere una worldwide non-residence, come se non avesse nessuna sede. Per gli irlandesi non è irlandese, per gli americani non è americana, per gli italiani non è italiana e così via fino a diventare una azienda globale senza sede.
Apple Italia sarebbe una società di facciata perché è accreditata come semplice consulente della irlandese Apple sales international. Ufficialmente la irlandese versa all’italiana circa 30 milioni l’anno per coprire i costi di consulenza, il resto dei ricavi (dal 2010 abbondantemente superiori al miliardo con un picco di 2,2 miliardi nel 2013) rimangono in Irlanda. I funzionari dell’Agenzia delle Entrate sostengono, invece, che quei ricavi sono curati e gestiti completamente in Italia attraverso una struttura parallela e occulta creata all’interno di Apple Italia e dipendente per le direttive da seguire da Apple sales international. I venditori italiani si occupano dell’intero ciclo di vendita con una ampia autonomia, disponendo di tutti i poteri per seguire le vendite, dagli ordini alla consegna, contrattando prezzi e sconti per tutti i clienti, dai più piccoli ai più grandi. Ben altro che l’ufficiale mero supporto alle vendite.
Il personale Apple, ascoltato in vari interrogatori dai magistrati milanesi, e i clienti sarebbero consapevoli che la firma del contratto finale da parte di Apple sales international sia di natura meramente formale e apparente, essendo i vari aspetti sostanziali già negoziati e decisi in Italia. «Le funzioni svolte da parte del personale Apple in Italia – spiega la relazione dell’Agenzia delle Entrate travalicano sistematicamente il carattere meramente ausiliario e preparatorio delle attività previste nei contratti tra Apple sales international (sostituita da Apple Distribution international dal 2012) e Apple Italia Srl».
L’esistenza di questa struttura è confermata da una email inviata da Enzo Biagini, amministratore delegato di Apple Italia e ora indagato per dichiarazione fraudolenta insieme con il direttore finanziario Mauro Cardaio e Thomas Michael O’Sullivan, responsabile di Apple sales international e di Apple distribution international. «Ho il piacere di informarvi circa alcune importanti variazioni organizzative nella struttura vendite di Apple Italia che rappresentano la base per lo sviluppo del nostro business futuro in Italia», spiega Biagini in una nota spedita via posta elettronica nel 2004 ai rivenditori con oggetto “Nuova organizzazione vendite – Apple Italia”. Una struttura occulta protrattasi negli anni, la cui remunerazione avviene con un piano che prevede una compensazione fissa e un’altra variabile legata all’andamento delle vendite registrate guarda caso non da Apple Italia, ma dall’irlandese Apple sales international. A riprova che il vero fatturato italiano è stato trasferito all’estero.
Anche l’autonomia decisionale è confermata da molte mail come quella inviata nel 2009 da Marco Muccetti di Max Mara Fashion Group sempre a Biagini: «Ti scrivo per chiederti se puoi togliermi una cinquantina di euro dal nostro prezzo in modo da evitarmi questa seccatura e acquistare come al solito in Italia». Il documento dimostra non solo l’esistenza di un potere di concludere contratti da parte della struttura italiana, compresi gli sconti, ma anche l’abitualità con cui tale potere viene esercitato nel tempo. Che poi la Apple voglia nascondere l’organizzazione italiana che si occupa delle vendite per conto della irlandese risulta chiaro da un’altra mail di Pilar Pignatelli, allora legal counsel Emea di Apple con sede a Parigi: «Come sapete, siamo sempre molto attenti che non vi sia nulla nei documenti ufficiali che possa suggerire che società Apple diverse da ASI sono coinvolte nelle vendite in Europa (poiché questo potrebbe mettere in pericolo la nostra struttura fiscale)». Come dire dobbiamo sempre dimostrare che in tutti i Paesi europei ci sono solo consulenti, mentre i veri venditori sono in Irlanda. E qui devono finire i nostri ricavi. Con buona pace dei contribuenti europei.
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