Tutti gli indicatori suggeriscono, in sostanza, prudenza. E’ l’atteggiamento che ha scelto di adottare la Commissione Europea nel recente report su Pil, inflazione e disoccupazione nei paesi dell’Unione. La tabella prevede che l’Italia cresca dello 0,6 per cento nel 2015 e dell’1,3 per cento nel 2016. Tassi di incremento relativamente bassi se confrontati con quelli degli altri paesi. La media europea di quest’anno dovrebbe essere dell’1,3 per cento e dell’1,9 nel 2016. Quindi, se venisse rispettata la previsione, l’Italia crescerebbe quest’anno la metà di quanto farà la media dei partner europei. E questo è il vero dato che preoccupa. Quando si esce da una crisi, le differenti capacità di ripartenza dei singoli paesi sono quelle che finiscono per stabilire le nuove gerarchie competitive.
Fino a fine 2014 anche Confindustria sembrava seguire la strada delle previsioni prudenziali. Poi, a gennaio, ha iniziato a proporre uno schema diverso: «Per l’economia italiana – scriveva il Centro studi nell’analisi mensile – il 2015 si sta annunciando come l’anno spartiacque e tornano le variazioni positive per Pil e occupazione. Che probabilmente si riveleranno molto superiori alle previsioni correnti ». Poco più avanti il Csc quantifica: «Sulla base di ipotesi prudenti si arriva a una spinta per l’Italia pari al 2,1 per cento del Pil nel 2015 e a un aggiuntivo 2,5 per cento nel 2016». Confindustria valuta l’effetto di tre diversi fattori: «Il crollo del prezzo del petrolio, la svaluzione dell’euro, la diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine». Dunque, più investimenti anche in considerazione che i tre fattori agiscono su tutte le economie del Vecchio Continente, principale mercato di sbocco delle produzioni italiane.
Non è usuale che Confindustria si lasci andare all’ottimismo sul futuro dell’economia italiana. Ma certamente la svolta vista da viale dell’Astronomia è conseguenza di un sentimento diffuso tra gli imprenditori italiani, riflesso anche nelle previsioni del sistema Excelsior sugli andamenti occupazionali. Il saldo tra ingressi e uscite dovrebbe salire di 8.400 unità nel primo trimestre come risultato di 209.680 nuove assunzioni e 201.300 uscite. Ma anche su queste previsioni ci sono margini di incertezza. L’indagine di ManPower sulle intenzioni delle aziende dice che nel primo trimestre di quest’anno il numero delle aziende che intende ridurre l’occupazione supera ancora quello di chi intende invece assumere.
In tutti questi dati di previsione sono compresi solo in parte gli effetti di due provvedimenti che potrebbero avere effetti positivi: gli sgravi fiscali per chi assume, previsti dalla legge di stabilità, e l’adozione del nuovo contratto a tutele crescenti. Tutti elementi, che, insieme a quelli macro sui prezzi di petrolio e denaro, potrebbero finire per dare ragione, almeno in parte, all’ottimismo dell’associazione degli imprenditori. Anche smentendo la prudenza dell’Fmi (Pil Italia a +0,8 quest’anno) e il pessimismo dell’Ocse che in novembre prevedeva per la Penisola una minicrescita dello 0,2 per cento.