Damasak era stata riconquistata all’inizio di marzo durante l’offensiva in grande stile condotta dalle forze congiunte di Niger, Ciad, Camerun e Nigeria. Le perdite nei combattimenti erano state pesanti: circa 200 miliziani uccisi e almeno dieci morti e 20 feriti fra le truppe ciadiane.
Il maxi sequestro venuto alla luce ieri è solo l’ultima barbarie firmata dai jihadisti che in quella regione vorrebbero creare un Califfato e che con i loro ripetuti attacchi hanno costretto il governo di posticipare le elezioni del più popoloso Paese d’Africa a sabato prossimo.
Due giorni fa, il presidente Goodluck Jonathan ha dichiarato che basterà un mese per sconfiggere definitivamente Boko Haram. Ma molti temono che quella del presidente nigeriano sia solo una promessa elettorale scarsamente credibile.
Dopo i 13mila morti provocati negli ultimi 6 anni dalla jihad, la questione della sicurezza è fondamentale per una parte dei 68,8 milioni di elettori nigeriani, in particolare per quanti vivono nel nord del Paese a maggioranza musulmana, chiamati sabato prossimo a eleggere il nuovo presidente e il nuovo parlamento. Se il corrotto esercito nigeriano, sostenuto dalle truppe dei Paesi vicini, ha registrato diversi successi contro gli islamisti nelle ultime settimane, nessuno ha dimenticato la colpevole inerzia di Jonathan durante il resto del suo mandato. Il suo principale sfidante, l’ex generale Muhammadu Buhari, ricordato per il pugno di ferro con cui guidò una giunta militare a metà degli anni Ottanta, ha promesso, in caso di vittoria ai seggi, di fare della lotta a Boko Haram una delle sue priorità.