Bergoglio: «l’ergastolo pena di morte occulta»
Papa Francesco torna ad intervenire sul tema della giustizia penale e condanna senza appello la pena di morte ma anche l’ergastolo e le lunghe detenzioni.
«La pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato», «per uno Stato di diritto rappresenta un fallimento», scrive Bergoglio in una lettera che ieri ha consegnato a Federico Mayor, presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte – una cui delegazione è stata ricevuta in udienza in Vaticano –, ringraziandolo ed incoraggiandolo ad andare avanti nell’impegno per una «moratoria universale delle esecuzioni in tutto il mondo, al fine di abolire la pena capitale».
La pena di morte, per il papa, è inutile, perché si applica a persone detenute in carcere, «private della propria libertà», la cui capacità di recare danno quindi «è già stata neutralizzata. Ed ingiusta: «Non si raggiungerà mai la giustizia uccidendo un essere umano», «non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta», rischia di mandare a morte degli innocenti («a motivo della difettosa selettività del sistema penale e di fronte alla possibilità dell’errore giudiziario»), «nega al condannato la possibilità della riparazione o correzione del danno causato». Senza considerare le implicazioni che precedono l’esecuzione della pena, ovvero «un trattamento crudele, disumano e degradante, come lo sono anche l’angoscia previa al momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra l’emissione della sentenza e l’applicazione della pena, una “tortura” che, in nome del dovuto processo, suole durare molti anni, e che nell’anticamera della morte non poche volte porta alla malattia e alla follia». Quindi – Bergoglio cita Dostoevskij –, «uccidere chi ha ucciso è un castigo incomparabilmente più grande del crimine stesso. L’assassinio in virtù di una sentenza è più spaventoso dell’assassinio che commette un criminale».
L’ergastolo non è da meno: è una «pena di morte occulta». L’ergastolo, scrive il papa, e le lunghe detenzioni (che «comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà») «possono essere considerate pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza».
Non è la prima volta che Bergoglio interviene su questo tema. Lo aveva già fatto ad ottobre, ricevendo una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. In quell’occasione aveva usato più o meno le stesse parole sia sulla pena di morte che sul’ergastolo, allora definito «pena di morte nascosta». Una sottolineatura doppia, quindi, di quella che evidentemente dal papa viene considerata un’urgenza e che chiama direttamente in causa i sistemi giudiziari degli Stati, compreso quello italiano. E che per singolare coincidenza è arrivata alla vigilia della visita pastorale a Napoli, dove oggi Bergoglio pranzerà a nel carcere di Poggioreale, insieme anche a 90 detenuti – fra cui 10 provenienti dalla sezione riservata a transessuali, omosessuali e malati di Aids –, in rappresentanza degli circa 1.900 reclusi.
La giornata di ieri di papa Francesco è stata caratterizzata anche da un altro episodio, che parzialmente potrebbe essere ricondotto al tema della giustizia, sebbene ecclesiastica. Bergoglio ha infatti accettato «la rinuncia ai diritti e alle prerogative del cardinalato» da parte del cardinale scozzese Keith O’Brien, colpevole di abusi sessuali nei confronti di quattro giovani seminaristi e preti della sua diocesi negli anni ‘80. Per questi motivi lo stesso O’Brien nel febbraio 2013 si era dimesso dalla guida della diocesi di Edimburgo e, anche a causa dello scandalo internazionale suscitato dalla notizia, aveva rinunciato a partecipare al Conclave che poi elesse pontefice Bergoglio. Era seguito poi un periodo di «preghiera e penitenza» – imposto da Francesco – e l’apertura di un’inchiesta canonica sul suo conto affidata a mons. Scicluna, già promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, oggi arcivescovo di Malta, che evidentemente ha fatto il suo corso.
Ora arrivano le dimissioni, subito accolte dal papa. Ma parlare di «tolleranza zero», nonostante quello di O’Brien sia un precedente importante – l’ultimo caso di un cardinale «dimissionato» risale al 1927: il francese Louis Billot, sostenitore del movimento nazionalista Action française, condannato da Pio XI – pare fuori luogo: mantiene infatti il titolo onorifico di cardinale e, sebbene «fuori servizio», resta prete e vescovo.
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