Anche per Obama l’Isis è figlio dell’invasione dell’Iraq

by redazione | 20 Marzo 2015 10:41

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«L’Isis è il diretto risul­tato di al Qaeda in Iraq che è cre­sciuta con l’invasione Usa, esem­pio di una con­se­guenza inat­tesa. Per que­sto dovremmo pren­dere la mira prima di spa­rare». A dirlo non è il governo di Dama­sco o quello di Tehe­ran. A dirlo è il pre­si­dente Obama: lo svi­luppo repen­tino dello Stato Isla­mico è la con­se­guenza di otto anni di occu­pa­zione Usa dell’Iraq.
Così Obama, accu­sato di non avere stra­te­gie effi­caci con­tro il calif­fato, si toglie i sas­so­lini dalla scarpa e punta il dito con­tro il pre­de­ces­sore, il George W. Bush della guerra glo­bale al ter­rore e dell’esportazione di demo­cra­zia. Lo fa in un’intervista a Vice News, sco­prendo le divi­sioni interne all’amministrazione Usa che dice, si con­trad­dice, si smen­ti­sce da sola ormai da mesi. Ora fa auto­cri­tica: i set­ta­ri­smi ira­cheni sono il frutto della distru­zione dello Stato, delle sue isti­tu­zioni, dei deli­cati equi­li­bri tra sun­niti, sciiti e kurdi, spaz­zati via dalla coa­li­zione dei volenterosi.

Pro­prio quei set­ta­ri­smi ven­gono addi­tati da Obama come la prin­ci­pale fonte da cui l’Isis attinge: «Se l’Isis venisse scon­fitto, il pro­blema di fondo dei sun­niti reste­rebbe. Quando un gio­vane cre­sce senza pro­spet­tive per il futuro, l’unico modo che ha per otte­nere potere e rispetto è diven­tare un com­bat­tente. Non pos­siamo affron­tare tutto ciò con l’antiterrorismo e la sicu­rezza, sepa­ran­doli da diplo­ma­zia, svi­luppo e educazione».

Le dichia­ra­zioni del pre­si­dente sono pas­sate quasi in sor­dina ma hanno la forza di un ter­re­moto: si mette in discus­sione l’intera stra­te­gia Usa, fatta di inter­ven­ti­smo bel­lico e inte­ressi eco­no­mici nazio­nali, priva spesso di una visione di lungo periodo, basata sui finan­zia­menti a piog­gia di sog­getti divi­sivi, dall’ex pre­mier ira­cheno al-Maliki alla Coa­li­zione Nazio­nale Siriana.

«L’Isis va visto non solo come un movi­mento alieno al più vasto mondo poli­tico del Medio Oriente – scrive Ramzi Baroud, diret­tore di Pale­stine Chro­ni­cle – ma anche come un feno­meno in parte occi­den­tale, il ripu­gnante risul­tato delle avven­ture neo­co­lo­nia­li­ste nella regione, accom­pa­gnate alla demo­niz­za­zione delle comu­nità musul­mane nelle società occidentali».

«Con ‘feno­meno occi­den­tale’ non intendo dire che l’Isis sia una crea­zione delle intel­li­gence stra­niere – con­ti­nua – Ovvia­mente, si è giu­sti­fi­cati a sol­le­vare domante su fondi, arma­menti, mer­cato nero, le facili vie con cui migliaia di com­bat­tenti sono arri­vati in Siria e Iraq. Ma trac­ciando il movi­mento dall’ottobre 2006 quando l’Isis nac­que, si indi­vi­duano le sue radici: lo sman­tel­la­mento dello Stato ira­cheno e del suo eser­cito da parte dell’occupazione mili­tare Usa».

E alla fine chi di set­ta­ri­smi feri­sce, di set­ta­ri­smi peri­sce. A stretto giro dalle dichia­ra­zioni di Obama, è giunta la rea­zione di uno dei fal­chi dell’entourage di Bush, l’ex segre­ta­rio di Stato Dick Che­ney, grande burat­ti­naio di quell’invasione: «Obama è il peg­gior pre­si­dente della mia vita. Ne paghe­remo il prezzo».

Fuori dalle ripic­che poli­ti­che, resta il grande vuoto della stra­te­gia Usa in Medio Oriente: dopo aver cam­biato cavallo più di una volta, aver lan­ciato in prima linea le forze locali ira­chene, aver con­ti­nuato a finan­ziare deboli oppo­si­zioni in Siria ed essere stati costretti ad aprire ad Assad, gli Stati Uniti sono nudi. E debolissimi.

Tanto deboli da subire quasi in silen­zio l’abbattimento di un pro­prio drone da parte dell’aviazione siriana. È suc­cesso mar­tedì a Lata­kia, roc­ca­forte della fami­glia Assad. I ser­vizi Usa stanno ancora inda­gando, sep­pur il governo siriano ammetta di aver col­pito il Pre­da­tor. Per­ché? Volava fuori dai con­fini uffi­ciosi di inter­vento della coa­li­zione. Obama con Assad non intende par­lare ma una coo­pe­ra­zione indi­retta esi­ste. Per que­sto Dama­sco non ha mosso un dito da set­tem­bre quando comin­cia­rono i raid Usa. Ora però trac­cia le sue “linee rosse”: Obama voli pure sui cieli siriani, ma non nelle zone sotto il con­trollo governativo.

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