by redazione | 24 Marzo 2015 13:10
L’Ucraina fa parlare di sé in questi giorni non soltanto per il conflitto nel Donbass che, se pur con intensità molto attenuata dopo l’incontro franco-russo-tedesco-ucraino a Minsk del 12 febbraio scorso, non è completamente cessato. Informazioni su lotte al vertice tra oligarchi politico-economici a Kiev, si affiancano a notizie funebri provenienti dai luoghi di «esilio» della ex leadership ucraina deposta dal golpe del febbraio 2014.
È stata confermata ieri la morte del figlio di 34 anni del deposto presidente ucraino Viktor Janukovic, Viktor Viktorovic Janukovic, ex deputato della Rada, avvenuta lo scorso 20 marzo, mentre si trovava in vacanza sul lago Bajkal. Secondo le prime ricostruzioni, l’auto su cui Viktor Janukovic junior si trovava, in compagnia di altri tre ucraini, sarebbe sprofondata su una lastra di ghiaccio del lago, risultata più sottile del previsto e il figlio dell’ex Presidente, con la cintura di sicurezza allacciata, non è stato in grado di uscire in tempo dalla vettura.
A Kiev invece, sembra che si facciano più acuti i contrasti intestini proprio tra coloro che, con le sanguinose giornate della cosiddetta «Majdan», avevano estromesso il legittimo presidente Janukovic. Tra accuse reciproche di contrabbando e di intesa con gruppi malavitosi, il cambio manageriale alla direzione di «Ukrtransnaft», la compagnia apparentemente statale che gestisce il transito del petrolio in Ucraina, sta creando serie divergenze tra il presidente-oligarca Petro Poroshenko e l’oligarca-governatore della regione di Dnepropetrovsk (tra i suoi titoli di merito, anche essere sponsor di Pravij sektor) Igor Kolomojskij.
L’estromissione del direttore di «Ukrtransnaft» Aleksandr Lazorko e la sua sostituzione con Jurij Miroshnik sembra non sia andata giù a Kolomojskij, che accusa il secondo di essere agli ordini di Poroshenko, ma teme soprattutto di veder drasticamente tagliate le proprie entrate. Lazorko infatti avrebbe consentito a Kolomojskij di realizzare affari d’oro con centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio che, invece di venir dirette verso il Donbass (sottoposto a blocco economico), sono finite nei depositi dell’oligarca-governatore.
Tra irruzioni armate di Kolomojskij e compagni nelle sedi di «Ukrtransnaft» e «Ukrnafta», e contromisure di polizia ordinate da Poroshenko, al momento la situazione non sembra affatto pacificata e nel confronto si sarebbero inseriti anche reparti del neonazista «Dnepr-1». E sul fronte del Donbass, il cessate il fuoco in vigore da oltre un mese, non alimenta purtroppo speranze in una pace sicura. I rappresentanti della Repubblica di Donetsk registrano violazioni da parte governativa un po’ lungo tutta la linea di contatto tra le parti, con l’utilizzo di mortai e carri armati «Pantera nera», a detta delle milizie, di produzione straniera.
Questo, a dispetto delle dichiarazioni di Poroshenko, secondo cui l’Ucraina non è in grado di riappropriarsi del territorio del Donbass con la sola forza delle armi, ma deve puntare sulla «reintegrazione».
Vero è che Poroshenko, incontratosi con la Presidente lituana Dalia Gribauskajte, ha detto di sperare nell’aiuto europeo in armi. E d’altronde, i rappresentanti di Donetsk e Lugansk sono a dir poco critici rispetto alle affermazioni presidenziali sulla reintegrazione di territori che la Rada ha decretato «temporaneamente occupati»; secondo il rappresentante di Lugansk Vladislav Dejnego, Kiev si appresta «a togliere di mezzo tutti noi e a riportare le due Repubbliche sotto il proprio potere», a dispetto degli accordi di Minsk sullo status del Donbass, il rispetto dei quali, secondo le milizie, deve essere garantito anche da Germania e Francia, firmatarie dei relativi protocolli.
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