A che ora è la fine della Cina

A che ora è la fine della Cina

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Nel mondo della sino­lo­gia con­tem­po­ra­nea, c’è una spe­cie di disci­plina a parte, nella quale si sono cimen­tati e si cimen­tano tut­tora, illu­stri stu­diosi. Si tratta della branca di stu­dio che nasce dalla domanda: «La Cina col­las­serà? E se sì, quando?».
Ci sono innu­me­re­voli esempi e ricordi sto­rici che pos­sono legit­ti­mare una domanda affer­ma­tiva, cui di solito segue una spe­cie di monito: «i cam­bia­menti in Cina sono sem­pre vio­lenti». Vero, ma allo stesso tempo si potrebbe obiet­tare che negli ultimi ses­santa anni, tutte le teo­rie che annun­cia­vano il crollo di Pechino, non si sono avve­rate. Nel suo ultimo libro (Il Regno, Adel­phi), lo scrit­tore fran­cese Emma­nuele Car­rère ricorda come in realtà, nelle reli­gioni, il man­cato avve­rarsi di un evento che era stato «anti­ci­pato» (ad esem­pio la fine del mondo) anzi­ché inde­bo­lire la fede degli adepti, fini­sce per rafforzarla.

Nel campo della sino­lo­gia, dun­que, nono­stante la Cina non dia segnali «evi­denti» di un crollo immi­nente, con­ti­nuano a fio­rire teo­rie che pre­ve­dono una sua débâ­cle, con l’attenzione su ele­menti, eco­no­mici, poli­tici e sociali, che ven­gono uti­liz­zati per dimo­strare anche il con­tra­rio. Di sicuro ci sono alcuni punti di par­tenza che pos­sono essere con­si­de­rati «rischiosi», per il man­te­ni­mento del potere da parte del Par­tito comunista.

Per­ché è bene ricor­dare una cosa: la domanda, «La Cina col­las­serà», signi­fica né più né meno: «Il Par­tito comu­ni­sta, collasserà?».

China crack

David Sham­baugh, pro­fes­sore alla George Washing­ton Uni­ver­sity, è uno dei sino­logi più noti a livello mon­diale, con­si­de­rato un esperto per tutto quanto riguarda il Par­tito comu­ni­sta cinese e l’esercito popo­lare di libe­ra­zione. Ha pub­bli­cato libri che costi­tui­scono impor­tanti rifles­sioni sulla Cina (su tutti China’s Com­mu­nist Party: Atro­phy and Adap­ta­tion). Nelle set­ti­mane scorse, l’autorevole pro­fes­sore ha scritto un arti­colo sul Wall Street Jour­nal, nel quale spie­gava di essere con­vinto dell’immi­nente crollo del sistema cinese.

Nel suo libro sul Par­tito comu­ni­sta, in realtà, Sham­baugh dimo­strava con esempi sto­rici e la spie­ga­zione dei gan­gli più interni dell’intricato mec­ca­ni­smo deci­sio­nale del Par­tito comu­ni­sta, pro­prio la sua capa­cità di adat­tarsi ad ogni cir­co­stanza, uscendo da ogni «crisi» in una posi­zione ancora più cen­trale e deter­mi­nante del sistema cinese.

Come ha spe­ci­fi­cato in un’intervista al New York Times, Sham­baugh ha scritto quel libro nel 2007. E sem­brerà strano, ma sette anni in Cina costi­tui­scono parec­chio tempo. Infatti Sham­baugh ha cam­biato idea. La sua rifles­sione ha dato adito a pole­mi­che e rispo­ste, con­fer­mando l’attrazione nei con­fronti dello stu­dio del modello di svi­luppo cinese, sem­pre in bilico e in equilibrio.

Nel suo arti­colo sul Wall Street Jour­nal, Sham­baugh, dopo aver ricor­dato pro­prio il suo pas­sato da «scet­tico» rispetto a ipo­tesi cata­stro­fi­che, spiega i cin­que motivi dai quali ha dedotto il rischio di un «china crack». Uno degli ele­menti riguarda la repres­sione e mette in evi­denza la ten­denza auto­ri­ta­ria di Xi Jin­ping. Quello che più ha sor­preso è stato l’accostamento di Sham­baugh tra l’attuale pre­si­dente cinese Xi Jin­ping e il russo Gorbaciov.

Una vici­nanza che col­pi­sce, spe­cie dopo l’accusa che Sham­baugh rivolge a Xi Jin­ping, quella di essere un despota. Ma come spiega lo stu­dioso, «per­cor­rendo strade diverse, potreb­bero arri­vare allo stesso risul­tato. Gor­ba­ciov lo ha fatto facendo le riforme, Xi Jin­ping potrebbe farlo impedendolo».

È bene spe­ci­fi­care che sulla figura di Xi Jin­ping c’è un dibat­tito aperto, anche in Cina, con­dito dai con­sueti rumors. Xi avrebbe poten­ziato la pro­pria scorta, un segnale letto in una deter­mi­nata dire­zione. Insieme a que­sto, gira insi­sten­te­mente la voce che vor­rebbe Xi con l’intenzione di supe­rare i dieci anni di regno.

Il dispo­ti­smo di Xi

Nelle scorse set­ti­mane alcuni arti­coli di gior­nali cinesi, regi­stra­vano un fatto par­ti­co­lare. Come scritto dal South China Mor­ning Post, «il pre­si­dente Xi Jin­ping ha rior­ga­niz­zato l’Ufficio cen­trale per la sicu­rezza che si occupa della sua sicu­rezza personale».

Al quo­ti­diano lo avreb­bero con­fer­mato almeno tre fonti. «Il Gene­rale Mag­giore Wang Shao­jun, vice coman­dante ese­cu­tivo dell’ufficio, è stato pro­mosso a con­durre sia l’ufficio sia il Reg­gi­mento di guar­dia cen­trale. Il coman­dante uscente dell’Ufficio, il tenente gene­rale Cao Qing, è stato tra­sfe­rito al Comando Mili­tare dell’area di Pechino come suo vice comandante».

Come leg­gere que­sti fatti? Qual­cuno ha spie­gato che Xi potrebbe temere per la sua sicu­rezza, secondo altri, sta­rebbe sem­pli­ce­mente siste­mando la sua posi­zione (e a que­sto pro­po­sito ci sono voci che vor­reb­bero il pre­si­dente inten­zio­nato a cam­biare com­ple­ta­mente le regole del gioco, allun­gando il suo periodo di «regno»). Rimane il fatto che que­sta ten­denza di Xi ad accen­trare, può essere letto in entrambe le dire­zioni: come un segnale di debo­lezza, o come un esem­pio di forza.

Al riguardo il Wall Street Jour­nal ha chie­sto un inter­vento a David M. Lamp­ton, autore di Fol­lo­wing the Lea­der: Ruling China, from Deng Xiao­ping to Xi Jin­ping e pro­fes­sore di studi cinesi presso la Johns Hopkins-Sais. È anche l’ex pre­si­dente del Comi­tato nazio­nale per le rela­zioni tra Usa e Cina. Secondo Lamp­ton, «gli oltre tre decenni di riforme pre­ce­denti all’ascesa di Xi Jin­ping al potere hanno cam­biato radi­cal­mente il governo e la società cinese. I lea­der sono diven­tati sem­pre meno in grado di con­trol­lare da soli le cose — è cre­sciuta un tipo di lea­der­ship basata sul consenso».

E alla domanda se è pos­si­bile che Xi rimanga anche dopo la fine del man­dato, ha rispo­sto che «non è chiaro che cosa deci­derà, qua­lora il giorno di tale deci­sione dovesse arri­vare. Ma que­sta domanda sem­bra lecita.

Prima di Xi, il con­senso gene­rale den­tro e fuori la Cina è che la norma del cam­bio di lea­der­ship dopo due man­dati aveva messo sostan­zial­mente le radici. Ora, il fatto che molti in Cina si inter­ro­ghino circa la volontà di Xi a cedere il potere dopo due man­dati, dice molto circa la dire­zione del pen­siero nella Cina di oggi. Molti cinesi a quanto pare non sono con­vinti che Xi diven­terà il George Washing­ton della Cina, riti­ran­dosi a vita pri­vata digni­tosa dopo due mandati».

L’economia e la corruzione

C’è infine un aspetto eco­no­mico: la Cina sta ral­len­tando la sua cre­scita, che sarà al 7% — come pre­vi­sione – per il 2015. Riu­scirà Xi a far ripar­tire l’economia nazio­nale, per quanto modi­fi­cata nel suo approc­cio più basato sul mer­cato interno, anzi­ché sulle espor­ta­zioni? È la grande sfida cinese, con­tor­nata da que­sta feroce cam­pa­gna anti corruzione.

Quest’ultima viene vista sia come poten­ziale ele­mento di debo­lezza, sia come poten­ziale ele­mento di forza. Rimane il fatto che le migliaia di fun­zio­nari arre­stati, hanno creato un clima di paura e panico nei punti vitali dell’economia cinese. C’è il ter­rore di incap­pare nel passo falso, con il risul­tato di avere, al momento, una sorta di blocco eco­no­mico in più settori.



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1 comment

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  1. davide busetto
    davide busetto 25 Marzo, 2015, 19:52

    Il crollo della CIna… il sogno dei liberali o di quelli che per “sinistra” intendono esclusivamente la carità fatta ai disperati di turno.
    Onore al PCC e avanti così!

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