Quale è la sua reazione all’intervento degli eserciti del Ciad, del Camerun o del Niger che si spingono all’interno delle vostre frontiere per fare il lavoro di cui avrebbe dovuto farsi carico il vostro esercito?
«Invocare l’inviolabilità della nostra sovranità nella lotta contro Boko Haram e contro il terrorismo, come ha fatto il nostro governo, è stato di un’idiozia e di una presunzione incredibile. Davanti alle atrocità, i nostri vicini hanno capito che si trattava di una sfida globale e che la risposta doveva essere globale. Se il Ciad, il Camerun e il Niger intervengono è per evitare che Boko Haram si espanda a macchia d’olio anche nei loro territori».
Lei prova vergogna nel vedere l’incapacità dei vostri dirigenti nel porre fine alle efferatezze di Boko Haram?
«Prima di essere un nigeriano e un africano, sono un essere umano. Di fronte a questi crimini contro l’umanità non mi sento aggredito in quanto nigeriano in un paese sovrano, ma in quanto uomo. Non provo vergogna, sono loro i responsabili che dovrebbero vergognarsi, gli uni quanto gli altri. Io sono arrabbiato e mi sento umiliato dal mio stesso governo».
Da un lato le urne elettorali, dall’altro il sangue e la cenere dei massacri: come vive questo contrasto?
«Quel che è certo è che il governo di Goodluck Jonathan si è dimostrato incapace nell’esercizio del potere, dando prova di una totale mancanza d’immaginazione nel rispondere alle sfide. L’opinione pubblica nigeriana lo sa bene, si rende conto che il governo si è svegliato troppo tardi per rispondere ad un’insurrezione che col tempo si è consolidata. Se si prende in considerazione anche solo il rapimento delle 200 liceali di Chibok dell’anno scorso, qualsiasi presidente in qualsiasi altro paese del mondo avrebbe reagito il più vigorosamente possibile nei dieci giorni successivi, o avrebbe dato le dimissioni. E qui non è successa né una cosa né l’altra».
Ma Boko Haram è stato fondato più di dieci anni fa, perciò la responsabilità ricade anche sui governi precedenti… «Sì, e tutti hanno fatto l’errore di sottovalutare l’islamizzazione in corso. Per esempio, sotto la presidenza Obasanjo, tra il 1999 e il 2007, non è stato fatto niente per avvalorare certi principi costituzionali di laicità quando Stati federali come Zamfara (attualmente nella zona controllata da Boko Haram, ndr) hanno decretato l’applicazione della sharia. Così facendo hanno rafforzato il potere degli insorti. Il presidente attuale, Goodluck Jonathan, è colpevole, certo insieme ad altri, di non aver capito che la sfida dell’islam radicale sarebbe andata crescendo».
Ripone maggior fiducia nel suo oppositore, l’ex presidente Muhammadu Buhari, di cui lei stesso ha combattuto le derive “fasciste”?
«Sarebbe un salto nell’ignoto, anche se conosciamo il suo passato in materia di violazione dei diritti umani. Ma allo stesso tempo non possiamo più continuare con il sistema incarnato dal presidente uscente Jonathan. Quindi ci resta un solo candidato, ed è un vero peccato in un paese di 150 milioni di abitanti che ospita tanta gente più responsabile, più intelligente e provvista di più immaginazione. Ciascuno dovrà decidere secondo la propria coscienza».
Lei parla dell’“insurrezione” di Boko Haram. E della sua barbarie?
«È un’insurrezione barbara, assolutamente. Appartiene a una “specie” che ha lasciato da molto tempo la comunità degli esseri umani. Ma non sono solo nigeriani. Sono agenti di un fondamentalismo su scala planetaria, la cui capacità di reclutamento si rafforza nutrendosi di una lettura perversa del Corano al solo scopo di rendere nemici tutti quelli che non sono come loro, anche tra gli stessi musulmani. Aggiungeteci le disuguaglianze sociali, l’emarginazione, la povertà e vedrete che il fenomeno diventa esplosivo».
Si rimprovera all’esercito nigeriano di essere estremamente brutale o così corrotto da rifiutarsi di combattere. È davvero così?
«Non ne possiamo più della violenza, che sia quella dello Stato o quella settaria. Non vogliamo che la violenza serva da strumento di regolazione della società. Ma che cosa si può fare quando dei gruppuscoli attaccano una comunità? Se c’è ancora un esercito, bisogna pur proteggere le vittime. È una responsabilità morale, a condizione, naturalmente, che l’esercito agisca con un minimo di rispetto per i diritti umani ».
Secondo lei che fine hanno fatto le ragazze rapite a Chibok? Sarà ancora possibile salvarle?
«Si sa che sono state divise in piccoli gruppi. Certe sono state vendute come schiave, come oggetti sessuali, altre sono morte di malattia o ammazzate, alcune hanno cercato di fuggire. Non le ritroveremo mai intatte. Saranno donne spezzate, per tutta la vita. Il dovere della nostra società è di assicurarsi che quelli che hanno perpetrato questo crimine ignobile, che hanno schiaffeggiato il volto della nostra nazione, in un modo o nell’altro paghino questo che è un misfatto contro l’umanità. Questo rapimento non potrà mai essere cancellato dai nostri ricordi. È una macchia indelebile nella nostra storia».
© Le Journal du Dimanche / Volpe Traduzione di Elda Volterrani