Wel­fare state, poteri forti e democrazia debole

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Nell’arco degli ultimi trent’anni l’indebolimento siste­ma­tico del wel­fare ha gran­de­mente con­tri­buito alla pola­riz­za­zione delle dise­gua­glianze. Que­sto è evi­dente e ben noto: basta pen­sare allo sman­tel­la­mento delle tutele del lavoro e ai pesanti tagli della spesa sociale. Meno evi­dente e meno discusso è quanto que­sto smon­tag­gio del wel­fare abbia con­tri­buito all’indebolimento della democrazia.

Serve un pic­colo eser­ci­zio di memo­ria, rac­co­gliendo anche l’invito di Ken Loach in The Spi­rit of ’45: è all’indomani del secondo con­flitto mon­diale – ovvero avendo appreso col­let­ti­va­mente dall’esperienza di trent’anni di guerra in Europa, com­pren­siva dei tota­li­ta­ri­smi e degli ster­mini di massa – che la costru­zione del wel­fare assume il com­pito di rifon­dare su basi un po’ più solide il regime demo­cra­tico. Dotan­dolo cioè di pro­te­zioni sociali fon­date su garan­zie di diritto, che esten­des­sero poten­zial­mente a tutti la par­te­ci­pa­zione al gioco sociale. Il wel­fare ha isti­tuito sup­porti per la risa­lita in gene­ra­lità delle istanze dal basso, per la rap­pre­sen­tanza poli­tica, dando forza al diritto poli­tico di voce e di par­te­ci­pa­zione ai pro­cessi di governo alla base per l’appunto di un regime democratico.

Il wel­fare state ha redi­stri­buito poteri, non sol­tanto beni. Di que­sto si è trat­tato e si tratta. Lo smon­tag­gio del wel­fare – che con­ti­nua: con l’austerità, le riforme, i vin­coli di bilan­cio – ali­menta i pro­cessi di pola­riz­za­zione non sol­tanto in ter­mini di beni ma anche di poteri; e come tale incide sull’architettura della demo­cra­zia. Vediamo dun­que qual­che pas­sag­gio di que­sta pola­riz­za­zione, per punti, e a titolo di promemoria.

Del wel­fare sono inde­bo­liti i sup­porti per la risa­lita in gene­ra­lità, i col­let­tivi di parola: la disar­ti­co­la­zione dei col­let­tivi che media­vano l’appartenenza e il rico­no­sci­mento – più evi­dente nel mondo del lavoro – a seguire la cosid­detta indi­vi­dua­liz­za­zione e la deru­bri­ca­zione dei cit­ta­dini a clienti o con­su­ma­tori ato­miz­zati, e soli, di ser­vizi ricon­fi­gu­rati come aziende. Chi può per­met­ter­selo ha libertà di scelta. E poi le molte dina­mi­che divi­sive che attra­ver­sano il mondo del wel­fare, tra que­ste la messa in con­cor­renza gene­ra­liz­zata nella lotta per il pro­cac­cia­mento di risorse che ha inve­stito il mondo dei ser­vizi (e come al solito pesci grossi man­giano quelli pic­coli); per non par­lare delle guerre tra poveri, del ran­core e dell’ostilità dif­fusa che ribol­lono nelle terre di nes­suno lasciate die­tro di sé dal ritrarsi del wel­fare (attorno alla casa, per esempio).

Per con­tro troppo spesso i col­let­tivi che pren­dono forma nel wel­fare – magari all’insegna della par­te­ci­pa­zione, magari tra benin­ten­zio­nate asso­cia­zioni e coo­pe­ra­tive che par­te­ci­pano al bando della Fon­da­zione XY – sono aggre­ga­zioni stru­men­tali più che poli­ti­che, nel for­mato sem­mai di alleanze spar­ti­to­rie, o lob­bies, o reti di amici degli amici. E poi le arene del wel­fare si depo­li­ti­ciz­zano, a seguito della loro mer­ca­tiz­za­zione non son più luo­ghi per la voice. Oltre all’apertura a inte­ressi pri­vati e attori di mer­cato, oltre al busi­ness sul sociale, è sulla logica stessa di fun­zio­na­mento dei sistemi di ser­vizi nel loro insieme, com­presi quelli pub­blici, che pre­mono con forza para­me­tri di mer­cato (l’efficienza, la red­di­ti­vità, i vin­coli di bilan­cio). Del resto, sono i mer­cati a impor­celo. Altret­tanto, la pri­va­tiz­za­zione ha ali­men­tato il pri­va­ti­smo, l’idea che beni e ser­vizi di wel­fare rispon­dano a que­stioni pri­vate, da rego­larsi tra domanda e offerta: non beni comuni, non pro­prietà sociale. Del resto è ormai senso comune che con le tasse si paghino servizi.

Per non par­lare degli effetti deva­stanti del discorso meri­to­cra­tico. Nei mondi sociali que­sto discorso mora­li­stico ha mol­ti­pli­cato linee di frat­tura – tra chi merita e chi no – gene­ra­liz­zando una postura del giu­di­zio e della messa alla prova, dei premi e delle puni­zioni, che preme verso il basso ma che grava su tutti. All’insegna della valu­ta­zione si gene­ra­lizza l’assoggettamento all’imperativo della per­for­mance, che coin­volge tutti: tutti par­te­ci­pano, ma in una forma oppo­sta alla par­te­ci­pa­zione poli­tica, ai col­let­tivi di parola, poi­ché gli obiet­tivi sono già dati, e di solito in cifre. Dalla pro­spet­tiva del wel­fare: quando le voci dal basso sono neu­tra­liz­zate, si pro­duce una pola­riz­za­zione delle dise­gua­glianze di potere che svuota la democrazia.



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