Un assassino di nome Omar nato e cresciuto in Danimarca La polizia lo conosceva bene

by redazione | 16 Febbraio 2015 10:29

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COPENAGHEN Dietro ogni matto c’è una periferia. Ma le analogie con le sterminate banlieue parigine finiscono davanti alla distesa dei campi di calcetto illuminati a giorno dove un gruppo di ragazzi maghrebini insegue una palla seguito dall’occhio vigile dell’allenatore con fischietto.
Mjølnerparken non ha nulla delle sterminate distese di cemento dove sono cresciuti i fratelli Kouachi e Ahmedi Coulibaly, il terzetto che lo scorso gennaio in tre giorni ha ucciso 16 persone, disegnatori presunti blasfemi, ebrei che ai loro occhi avevano solo la colpa di essere tali, ignare vigilesse.
Il quartiere dove è cresciuto e dove ha trovato la morte Omar el Hussein, il ragazzo di 22 anni nato in Danimarca che sabato pomeriggio ha tentato di fotocopiare in piccolo la strage di Parigi, è un luogo raccolto di case basse in mattoni bruni, al massimo cinque piani, che comincia dai vicoli dietro la stazione di Nørrebro.
Nel 1984 nacque come il più grande esperimento di edilizia popolare danese, un centinaio di palazzine per 2.800 posti letto che ben presto divenne un ghetto, e tutti lo chiamano proprio così, con una popolazione composta al 98 per cento di immigrati. Un recente studio del ministero dello Sviluppo sociale lo mette in cima alla lista delle ottanta zone più complicate di Danimarca, stilata tenendo come criteri la densità di popolazione straniera, un tasso di disoccupazione superiore al 40% nella fascia di età compresa tra i 18 e i 64 anni, e soprattutto la percentuale di abitanti con precedenti penali legati allo spaccio di droga e ai reati con arma da fuoco. El Hussein era un piccolo delinquente, più vicino a diventare un piccolo Coulibaly che un militante islamico costruito negli anni come erano i fratelli Kouachi, se vogliamo continuare in questo forse inevitabile gioco di specchi con la Francia.
La prudenza della polizia danese, ispirata forse al precedente di Parigi, lascia sgocciolare informazioni parziali, che al momento rendono difficile decifrare la sua statura di jihadista o aspirante tale, e la notizia che la sua famiglia avesse radici palestinesi, originaria del campo profughi di Ain al-Hilweh, nel Libano del Sud, zona dove la presenza integralista è molto forte, non ha ancora trovato conferma ufficiale.
El Hussein era il capo di una delle tante bande locali che si contendono un territorio limitato, neppure lontanamente paragonabile alle periferie delle grandi metropoli. Aveva acquisito il suo status con una lenta ma costante collezione di precedenti penali, tra i quali l’ultimo assume per forza un significato sinistro, alla luce di quanto è avvenuto sabato.
Il 22 novembre 2013 el Hussein era salito sulla metropolitana leggera di Copenaghen, che collega la sua periferia al centro frequentato dai turisti. Era alterato, aveva cominciato a urlare insulti contro infedeli e miscredenti. Nessuno aveva osato interrompere la sua invettiva. Dopo poche fermate aveva aggredito con un coltello un ragazzo di 18 anni, in apparenza scelto a caso. Era uscito dal carcere da pochi mesi.
A Mjølnerparken le tentazioni jihadiste comunque non mancano. Negli ultimi due anni sono 150 i cittadini danesi partiti per combattere la loro guerra santa in Siria, una percentuale molto alta per un Paese che conta circa cinque milioni di abitanti. La metà abbondante di questi miliziani danesi viene dal piccolo quartiere dietro la stazione e da Aldersrogade, la periferia che gli sta accanto. Alla fine del 2005, dopo la pubblicazione delle prime vignette «blasfeme» sul Jylland-Posten , ci fu una piccola rivolta tra i giovani. Il governo danese scoprì per la prima volta di avere un problema con la sue banlieue e fece mettere 230 videocamere nelle scale, nelle cantine, negli ascensori delle palazzine, decisione che suscitò anche un certo scandalo per via della limitazione della privacy. E poi più niente.
Oggi il quartiere non ha un presidente. Mohammed Aslam, personaggio molto discusso iscritto fino a poco tempo fa al Partito socialdemocratico locale, si è dimesso la scorsa primavera. Nei suoi 10 anni di governo su Mjølnerparken ha concesso locali e risorse a Hizb-Ut-Tahir, una organizzazione estremista e filo-jihadista che il governo danese ha da tempo messo nella lista nera.
Con i soldi della comunità erogati da quello che all’epoca era un rappresentante dello Stato, Hizb-Ut-Tahir avrebbe messo ai margini le associazioni che si occupavano dell’accoglienza dei migranti e si sarebbe concentrata sulla propaganda di un Islam unificato di matrice sunnita predicando la jihad da esportazione. Quanto alle armi, non sono mai state un problema, a Mjølnerparken. Poche settimane fa alcuni bambini che giocavano a poca distanza dal posto dove el Hussein è stato ucciso dalla polizia hanno trovato una pistola e due mitragliatori abbandonati nei cespugli dei giardini pubblici.
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