Ci sono uomini con i cerchietti fra i capelli e padri con i figli nel marsupio. Chi canta. Chi applaude. Chi leva i pugni al cielo. Chi innalza cartelli rosa. Chi urla slogan. Tutti per Ozgecan Aslan, la ragazza di 20 anni stuprata, uccisa, amputata, bruciata, gettata nel fiume la settimana scorsa a Tarso, la città di San Paolo, nel sud, perché si opponeva a una violenza sessuale sull’autobus verso casa.
Da dieci giorni la Turchia si interroga. E l’immagine della studentessa è riflessa ovunque. In molte città sono state organizzate manifestazioni. A Mersin le donne si sono incatenate davanti al tribunale. E al funerale, all’imam che intimava alle amiche di restare indietro per lasciare da tradizione il posto agli uomini, si sono tutte piazzate in prima fila davanti al feretro, caricandosi poi loro la bara sulle spalle. Un milione di tweet ha finora risposto all’invito #sendeanlat (anche tu racconta la tua storia).
È stata però la reazione dei maschi a sorprendere. I turchi sono gente molto creativa. Due anni fa si erano inventati, durante la rivolta di Gezi Park, “l’uomo in piedi” davanti alla gigantografia del fondatore laico Atatürk, gesto diventato una protesta cumulativa in piazza di gente muta e severa, dritta in un silenzio contundente contro il governo islamico. Poi “l’uomo che legge un libro” per manifestare a migliaia contro lo stesso obiettivo. Ora, sotto il nuovo hashtag “Indossa una gonna per Ozgecan”, signori di ogni età hanno finito per postare le loro foto su Twitter, Facebook e Instagram, ritraendosi per solidarietà in indumenti femminili. Domenica, alle tre del pomeriggio si sono anche dati appuntamento a Piazza Taksim. E ad Ankara, Smirne, e nelle province, continuano ancora a scendere per strada. Uniti indossando la gonna.
Ozgecan studiava psicologia. Lo scorso 13 febbraio, rientrando da Mersin, era l’ultimo passeggero del minibus. Il conducente aveva cercato di violentarla. Lei si era divincolata, resistendo, spruzzando del liquido al peperoncino e graffiandolo in faccia. L’uomo l’ha però sopraffatta, picchiata, accoltellata. Da morta le ha tagliato le mani. Facendosi infine aiutare da due complici ha bruciato il corpo, buttandolo nel fiume. Due giorni dopo l’hanno scoperto e lui ha confessato. Al processo rischia ora 36 anni di carcere. Un crimine che ricorda la vicenda di Pippa Bacca, l’artista milanese nipote di Piero Manzoni, uccisa nel 2008 in Turchia, mentre vestita da sposa faceva la sua performance itinerante in autostop come già in tante altre strade del mondo. Il suo corpo gettato in un fosso.
Dice l’economista Guven Sak: «Lo slogan “Avete sentito il grido di Ozgecan?” echeggia adesso in proteste massicce. Non è facile essere donna in Turchia. Su questo siamo un po’ come in India, dove una fisioterapista di 23 anni è stata violentata e uccisa da una gang in un autobus a sud di Delhi. Qui uguale. Devo confessare che non abbiamo sentito in tempo il grido di Ozgecan».
Il Paese è sotto shock. L’omicidio della studentessa ha scoperchiato una sequela di orrori che pare non fermarsi. Ad Antalya, località balneare rinomata, il 19 febbraio una ragazza di 23 anni è stata uccisa dal fidanzato di 29 dopo un litigio in macchina. L’uomo ha cominciato a guidare aprendo la portiera per cacciarla giù, fino a quando la testa della fidanzata non è rimasta sotto le ruote. Lo stesso giorno, nella provincia meridionale dell’Hatay, vicino al confine siriano, un giovane di 19 anni ha cercato di violentare una ragazzina di 12. L’ha avvicinata su un minibus, picchiata e minacciata col coltello. La polizia è arrivata sulla scena trovando le finestre della vettura bloccate mentre il ragazzo stava stuprando la bambina. Poche settimane fa un altro caso è arrivato in prima pagina: quello di una donna accoltellata e segata dal marito in 52 pezzi nei sobborghi di Istanbul. I giornali di ieri dicono che i vicini avevano sì sentito dei rumori, ma non avevano preso alcuna iniziativa a favore della donna.
Le polemiche si abbattono sul governo, molto osservante sui temi religiosi, meno sulla protezione femminile. I media riportano dati allarmanti. Le violenze contro le donne sarebbero aumentate del 1400% da quando, nel 2002, il partito islamico è al potere. Sotto accusa le tradizioni conservatrici, tutt’altro che egalitarie, imperanti soprattutto nelle zone più interne e orientali del Paese, dove la minore considerazione delle donne trova radici consistenti. La responsabile della Famiglia e delle Politiche sociali, Aysenur Islam, la sola ministra nel governo, risponde che la legge vigente sulla violenza alle donne basta: «Il problema — spiega — è piuttosto il procedimento. Che è a discrezione del giudice. E visto che i magistrati sono indipendenti, noi non possiamo dire: “Deve andare così o deve andare cosà”. Ma penso che i giudici non debbano mai usare il loro potere discrezionale contro i responsabili».
La giornalista di Hürriyet, Melis Alphan, ha messo in fila, una dietro all’altra, le violenze più recenti. Un elenco da brivido. «Tre uomini hanno trascinato una donna per 230 metri, uccidendola: la sentenza a 36 anni è stata ridotta a 30 per “buona condotta” in tribunale. Un uomo che ha assalito sessualmente una turista giapponese in auto è stato punito con 1 anno e 8 mesi di reclusione: per il suo comportamento rispettoso all’udienza la sentenza è stata posposta. All’amministratore scolastico che aveva abusato sessualmente di 4 ragazzine è stata comminata una sentenza leggera solo su due di esse, perché la loro salute fisica e psicologica non ne aveva risentito; e la solita “buona condotta” gli è poi valsa la riduzione di un sesto della pena. Il 25enne che ha abusato due bambini di 4 e 6 anni ha ottenuto 5 anni di punizione, ma poiché la psicologia dei bambini non risultava danneggiata è stato rilasciato. Un uomo che ha buttato dal balcone la moglie e il suo amante si è visto ridurre la pena dall’ergastolo a 25 anni perché il rossetto trovato sul collo del rivale è stato considerato una provocazione». Si potrebbe continuare.
L’altra settimana nel quartiere sulla sponda asiatica di Istanbul un commerciante ha ucciso a colpi di coltello un giornalista che giocava a palle di neve con gli amici perché gli avevano rotto un vetro del negozio. «Questo Paese ha bisogno di una terapia — commenta Guven Sak — le nostre menti sono stressate oltre il limite, incapaci di ascoltare il grido di aiuto che arriva».
La storia di Ozgecan ha scoperto un nervo a lungo nascosto. E la Turchia, che vive a fior di pelle, si conferma un Paese pieno di contraddizioni: a volte meraviglioso, a volte tremendo. Impossibile da classificare. Dove metà donne indossano il velo, e le altre trucco e tacco sotto abiti non castigati. Con i maschi anch’essi divisi. Uomini che odiano le donne. E uomini che portano le gonne.