La pietra dello scandalo, nella legge sulla corruzione, è l’emendamento che alza la pene per il reato di «corruzione propria», quando cioè un pubblico ufficiale omette o ritarda un atto d’ufficio oppure compie un atto contrario ai doveri d’ufficio in cambio di denaro o di una promessa di denaro. Il codice prevedeva la punibilità da 4 a 8 anni. Il relatore aveva proposto di innalzare il massimo della pena lasciando invariato il minimo. L’emendamento porta la pena da 6 a 10 anni. In questo modo, però, provoca uno squilibrio nel sistema complessivo delle pene, dal momento che la corruzione diventerebbe reato più grave della corruzione in atti giudiziari, come ha segnalato il presidente della commissione Nitto Palma, azzurro, con l’accordo dell’Ncd. La seduta è stata dunque sospesa e rinviata a martedì prossimo per cercare un modo di ovviare all’inconveniente.
Ma sul capitolo più delicato e significativo del decreto, le norme sul falso in bilancio, regna ancora il mistero. Il governo non lo ha presentato in commissione lasciandosi aperta la porta per consegnarlo nei prossimi giorni, oppure, molto più probabilmente, direttamente in aula. Sarà su quel fronte che le polemiche con il centrodestra, quello all’opposizione e quello che sta nella maggioranza, rischiano di diventare più roventi. Dal lato opposto della barricata, quello della responsabilità civile dei magistrati, i togati mordono il freno. Per ora l’Anm non sciopera ma le pressioni delle varie correnti sull’associazione per dichiarare guerra sono massicce. Il vicepresidente del Csm Legnini prende tempo. Il Consiglio verificherà gli effetti della legge sulla «autonomia, indipendenza e serenità» dei magistrati. Passino le prime due voci, ma la terza, la «serenità» non è che abbia molto a che spartire con la Costituzione.
Per le correnti in toga, il «monitoraggio» non è però reazione adeguata. Magistratura indipendente tuona contro l’«evidente intento punitivo», ma anche contro «la risposta o meglio la non risposta da parte dell’Anm». Più moderata Md, che pure critica severamente la legge, denuncia «la falsità che la riforma sia voluta dall’Europa, visto che in molti Paesi europei una legge così nemmeno esiste» e attacca il ministro Alfano per aver detto che finalmente i cittadini italiani avranno tutela: «Come se finora non l’avessero avuta dai magistrati». Il doppio attacco rende felice Renzi: gli permette di vantare l’autonomia del governo. Seguono infatti, immancabili, due tweet speculari. Sulla corruzione: «Prima Cantone, poi i commissariamenti, adesso aumentiamo le pene per i corrotti». Sull’altro fronte: «Anni di rinvii e polemiche ma oggi la responsabilità civile è legge!». Meglio di così, almeno sul piano della propaganda e dell’immagine, non poteva andargli.