Strage di civili alla vigilia del summit Obama chiama Putin: “Basta guerra”

by redazione | 11 Febbraio 2015 9:16

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MOSCA . Nel giorno dell’ennesima strage, dopo giorni di minacce indirette e di attacchi reciproci a distanza, Barack Obama e Vladimir Putin hanno finalmente affrontato direttamente la questione della guerra civile d’Ucraina. Il presidente americano, pressato anche all’interno del suo staff per mandare al più presto armi all’esercito di Kiev, ha chiamato al telefono il capo del Cremlino in partenza per il vertice di pace che si terrà oggi a Minsk. Vertice che ora potrebbe avere un esito più positivo di quello che si immaginava fino a poco prima. E stato uno scambio, dicono, molto fuori dai denti in cui Obama ha ribadito accuse che Mosca ha sempre negato, come la presunta partecipazione diretta alle offensive dei ribelli russofoni. Putin ha risposto, anch’egli a muso duro. Ma ha confermato di voler fare il possibile proprio stamattina per dimostrare la buona volontà della Russia. Probabilmente ha funzionato la frase di Obama: «Se l’escalation continua, i costi per la Russia aumenteranno». Ma forse il presidente russo ci tiene a dare una dimostrazione di autorevolezza riuscendo a fermare i combattimenti. Non a caso, poco dopo, il gruppo di contatto che stava già svolgendo i lavori preliminari del vertice annunciava di avere raggiunto un accordo di massima su un cessate il fuoco e sul ritiro delle armi pesanti. La delegazione russa del gruppo di contatto, era guidata a sorpresa da un pupillo di Putin, Vladislavl Surkov, conosciuto come “eminenza grigia” del Cremlino. Il suo uomo più abile già distintosi nella questione cecena e nella neutralizzazione dell’opposizione di piazza.
Una svolta che porta un pur cauto ottimismo dopo una giornata difficile, dominata dalle immagini e dal rituale scambio di accuse intorno all’ennesima strage nel Donbass. Un bombardamento con razzi Grad sovietici, in dotazione sia all’esercito ucraino che ai ribelli, che ha fatto dodici morti e una trentina di feriti nella città di Kramatorsk. E che aveva condizionato la vigilia del vertice che oggi si apre tra gli ori e gli stucchi simil-Cremlino della nuovissima Dipservic Hall nel centro della capitale bielorussa. Un vertice che nello slang diploma- tico si definisce «in formato Normandia». Il riferimento è al primo minivertice, improvvisato nel giugno scorso durante le celebrazioni per il D-Day. C’erano, e ci saranno oggi, il russo Putin, l’ucraino Poroshenko, la tedesca Merkel, il francese Hollande.
«Tutti devono accettare dei compromessi », ha detto la cancelliera prima di arrivare a Minsk. Dopo gli ultimi faccia a faccia sia con Poroshenko che con Putin, la Merkel bene i loro punti deboli e gli accordi che non accetterebbero mai. E sa che, al di là di un cessate il fuoco, le cose fondamentali da decidere non sono materia da rendere ufficiale. Putin pretende garanzie che l’Ucraina non finisca nella Nato come molti chiedono sulle piazze di Kiev e nel governo filo-americano di Jatsenjuk. Ci vorrebbe una modifica alla Costituzione che definisca l’Ucraina Stato neutrale. E Poroshenko, ammesso che sia favorevole, non ha gli strumenti per garantire una cosa del genere. Bisognerà trovare una formula riservata che possa soddisfare almeno in parte le richieste del Cremlino.
Per non parlare delle autonomie da concedere alle regioni russofone, adesso ribelli, che ospitano il 40% della popolazione ucraina e che non hanno partecipato alle elezioni successive alla rivoluzione di Kiev. Putin vorrebbe uno Stato federale, Poroshenko non ci pensa nemmeno, anche perché non saprebbe come spiegarlo ai suoi. Ma sulle autonomie dovrà cedere il più possibile.
Perché in caso di ulteriori fallimenti, il rischio è che l’unico vincitore di oggi sia il presidente bielorusso Viktor Lukhashenko, definito anni fa da Condoleezza Rice «l’ultimo dittatore d’Europa» e primo leader del Vecchio Continente colpito da sanzioni occidentali per il suo disprezzo dei diritti umani e di opinione. L’uomo che ha perfino imposto il «divieto di risata durante le parate militari» non ha mai ospitato un leader occidentale da oltre dieci anni, a parte la deploratissima visita di Silvio Berlusconi. Oggi invece farà da padrone di casa per l’imbarazzo di Merkel e Hollande. Ma la guerra ucraina è diventata grande per perdersi ancora in sottigliezze del genere.
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