Una svolta che porta un pur cauto ottimismo dopo una giornata difficile, dominata dalle immagini e dal rituale scambio di accuse intorno all’ennesima strage nel Donbass. Un bombardamento con razzi Grad sovietici, in dotazione sia all’esercito ucraino che ai ribelli, che ha fatto dodici morti e una trentina di feriti nella città di Kramatorsk. E che aveva condizionato la vigilia del vertice che oggi si apre tra gli ori e gli stucchi simil-Cremlino della nuovissima Dipservic Hall nel centro della capitale bielorussa. Un vertice che nello slang diploma- tico si definisce «in formato Normandia». Il riferimento è al primo minivertice, improvvisato nel giugno scorso durante le celebrazioni per il D-Day. C’erano, e ci saranno oggi, il russo Putin, l’ucraino Poroshenko, la tedesca Merkel, il francese Hollande.
«Tutti devono accettare dei compromessi », ha detto la cancelliera prima di arrivare a Minsk. Dopo gli ultimi faccia a faccia sia con Poroshenko che con Putin, la Merkel bene i loro punti deboli e gli accordi che non accetterebbero mai. E sa che, al di là di un cessate il fuoco, le cose fondamentali da decidere non sono materia da rendere ufficiale. Putin pretende garanzie che l’Ucraina non finisca nella Nato come molti chiedono sulle piazze di Kiev e nel governo filo-americano di Jatsenjuk. Ci vorrebbe una modifica alla Costituzione che definisca l’Ucraina Stato neutrale. E Poroshenko, ammesso che sia favorevole, non ha gli strumenti per garantire una cosa del genere. Bisognerà trovare una formula riservata che possa soddisfare almeno in parte le richieste del Cremlino.
Per non parlare delle autonomie da concedere alle regioni russofone, adesso ribelli, che ospitano il 40% della popolazione ucraina e che non hanno partecipato alle elezioni successive alla rivoluzione di Kiev. Putin vorrebbe uno Stato federale, Poroshenko non ci pensa nemmeno, anche perché non saprebbe come spiegarlo ai suoi. Ma sulle autonomie dovrà cedere il più possibile.
Perché in caso di ulteriori fallimenti, il rischio è che l’unico vincitore di oggi sia il presidente bielorusso Viktor Lukhashenko, definito anni fa da Condoleezza Rice «l’ultimo dittatore d’Europa» e primo leader del Vecchio Continente colpito da sanzioni occidentali per il suo disprezzo dei diritti umani e di opinione. L’uomo che ha perfino imposto il «divieto di risata durante le parate militari» non ha mai ospitato un leader occidentale da oltre dieci anni, a parte la deploratissima visita di Silvio Berlusconi. Oggi invece farà da padrone di casa per l’imbarazzo di Merkel e Hollande. Ma la guerra ucraina è diventata grande per perdersi ancora in sottigliezze del genere.