Sotto le ciminiere di Mariupol “Noi operai partigiani non ci arrenderemo”

by redazione | 18 Febbraio 2015 9:46

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MARIUPOL. «GUARDI come hanno ridotto il villaggio di Shyrokine: in due giorni ne hanno fatto un cumulo di macerie», dice Nicolai Grishenko, giovane storico dell’Università di Kiev, passandomi il binocolo e indicando un punto lontano verso l’orizzonte, oltre decine di ciminiere che si ergono lungo una costa bagnata da acque nerastre. Assieme a Debaltsevo, dove ieri il leader dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharshenkoe, è stato leggermente ferito durante un bombardamento, e dove una settantina di esausti soldati ucraini si sono consegnati ai ribelli, il grosso porto industriale Mariupol, sul mare d’Azov, è l’altra città ancora aspramente contesa tra i due eserciti. «La loro ultima offensiva contro il porto i separatisti l’hanno lanciata alla vigilia del cessate il fuoco, con bombardamenti di artiglieria e blindati. Da allora non hanno mai smesso di attaccarci, ma noi teniamo duro », aggiunge Nicolai, che incontriamo nel settore orientale della città, dove s’organizza la difesa delle retrovie, con barricate e sacchi di sabbia. Siamo a pochi chilometri dalla linea di fuoco che corre là dove, fino a venerdì scorso, ancora c’era Shyrokine.
Al momento, il fronte ucraino di Mariupol sembra più compatto e resistente di quello di Debaltsevo, snodo cruciale per il controllo dell’est, dove i settemila soldati ucraini intrappolati da giorni starebbero per arrendersi ai separatisti. Sotto le ciminiere di questa ricca città portuale, invece, combattono, sì, gli uomini dello scalcagnato esercito di Kiev, ma lo fanno gomito a gomito con gli operai metallurgici che vogliono salvare la loro città dal ritorno dei ribelli e i paramilitari del battaglione “Azov”, formatosi nei giorni di Majdan e poi incorporato nella Guardia nazionale con decreto del ministro dell’Interno. Il battaglione è composto unicamente di volontari, tra i quali, quattro mesi fa, si è arruolato anche il giovane storico.
A chi accusa questo corpo di élite di avere una vocazione neonazista, Nicolai risponde: «Ma io sono da sempre socialdemocratico, e sono qui soltanto per salvare l’Ucraina dalle oscure e megalomani mire di Putin e di quei quattro ubriaconi di separatisti che lui munificamente foraggia. Diciamo che tra gli orrori di questo conflitto, mi sento più a mio agio, e più sicuro, tra i soldati del battaglione “Azov”, con le sue regole e con la sua disciplina, che tra quelli di un’unità ucraina di combattimento, magari comandata da un incapace o da un delinquente. È vero sono un patriota, ma che male c’è? E poi, credo che in guerra il senso di alcune parole perda automaticamente la sua componente retorica».
Il battaglione “Azov” ha sede nella città costiera di Urzuf, quaranta chilometri a sud-ovest di Mariupol. Ora, è proprio a Mariupol che, il 13 giugno scorso, il reparto ha avuto il suo battesimo del fuoco con la “liberazione” del grosso porto industriale, occupato dai separatisti. «In realtà, a riconquistare Mariupol furono soprattutto gli operai, stufi di avere il municipio in mano ai ribelli, che hanno disperso in una mattinata», racconta lo storico-paramilitare.
A riconquistare il porto non è stato di certo l’esercito regolare, che conta circa 1400 unità, ma di cui solo un centinaio sono in grado di combattere, soprattutto nel Donbass, dove si guerreggia per davvero e dove i militari dilettanti vengono sbaragliati all’istante. Il mese scorso, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha lanciato una campagna per mobilitare altri 50 mila uomini, indispensabili a suo avviso a garantire la sicurezza del Paese «contro eventuali aggressioni esterne». Fatto sta che le forze armate ucraine, duramente fiaccate dal conflitto nell’est delPaese, dispongono per lo più odi armi obsolete. Non solo: la maggior parte dei soldati è male addestrata e, alla lunga, l’impreparazione, soprattutto quanto riguarda gli ufficiali del comando, finisce per demoralizzare le truppe, anche le più motivate. Ma non Nicolai, che dice: «Questa guerra sta dimostrando quanto è povera l’Ucraina, ma anche quanto è forte il suo popolo ».
In serata, Poroshenko ha condannato l’offensiva dei ribelli contro Debaltsevo definendola un «cinico attacco contro gli accordi di Minsk». Poco dopo è arrivata la risposta di Putin: «Non c’è soluzione militare al conflitto nell’est dell’Ucraina, perciò lancio un appello alle autorità di Kiev, affinché non impediscano ai soldati a Debaltsevo di deporre le armi».
Il giovane storico di Kiev scuote la testa, poi aggiunge: «Lo sa che cosa rinfaccio al presidente russo e alla sua malafede? Di avermi trasmesso la voglia di uccidere ».
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