Sondaggio online sulla sua sorte Il Califfato vota la messa al rogo

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WASHINGTON La strategia dell’orrore è evidente. L’Isis vuole stupire in modo negativo il nemico, usa le nefandezze per aumentare la sua immagine nera. Poco conta se il video è autentico o meno: vale l’intenzione. Anche perché prima di uccidere il pilota giordano i seguaci del Califfo hanno compiuto altre crudeltà.
Gli strateghi dello Stato Islamico hanno seguito un sentiero alzando sempre di più il livello della violenza, consapevoli di come in una realtà sulla quale si muovono cento conflitti c’è la necessità di «offrire» qualcosa di inedito. Sono partiti con le esecuzioni degli ostaggi occidentali, spazzati via a colpi di mannaia. Tattica per nulla nuova, ma impiegata in modo sistematico insieme ai massacri nei territori da loro controllati. Nel mezzo, sempre per attirare l’attenzione, si sono inventati la formula del prigioniero che diventa — a forza — collaboratore della campagna di informazione. Ecco il reporter britannico John Cantlie mandato a raccontare gli attacchi a Kobane e Mosul, la capitale del Califfato.
Ormai è evidente che quando riescono a prendere un prigioniero di valore, quelli dell’Isis pensano: studiamo delle sorprese, inventiamoci un nuovo «numero» nell’horror show. Lo fanno avendo in mente due destinatari: il loro pubblico e i Paesi avversari. Sicuri di raccogliere la gioia di altri tagliagole, decisi a innescare la rabbia dell’avversario, convinti di mettere a segno dei colpi propagandistici. Il predecessore di Al Baghdadi, Abu Musab al Zarkawi, aveva adottato la stessa linea ed è finito male, ucciso dagli americani con l’aiuto dei servizi di Amman. Le condizioni per questo tipo di manovra si sono riproposte alla fine di dicembre con la cattura del pilota giordano nella zona di Raqqa, in Siria. Invece che cercare di barattarlo, l’Isis ha mobilitato la piazza promuovendo un sondaggio su come doveva giustiziarlo. Le risposte sono arrivate in fretta: eliminiamolo con centinaia di coltellate, «l’ascia è la cosa migliore», «seppelliamolo con una scavatrice», «bruciamolo vivo». I terroristi hanno preso in parola i suggerimenti dei sostenitori cercando di soddisfare i loro desideri. Dunque l’atroce morte tra le fiamme, seguite dall’azione del bulldozer.
Come abbiamo scritto nei giorni scorsi c’è il fondato sospetto, rilanciato dai giordani, che il militare sia stato in realtà assassinato il 3 gennaio. Una versione che può fare il gioco di Amman, criticata per non averlo salvato, ma che può avere una sua logica. E simpatizzanti del movimento avevano celebrato l’8 su Twitter l’esecuzione del pilota «bruciato a morte». L’Isis lo ha poi resuscitato inserendolo nel finto negoziato sugli ostaggi giapponesi, entrambi assassinati nonostante i governi avessero accettato uno scambio con la terrorista Sajida al Rishawi. Di nuovo: solo un trucco perché gli islamisti non erano in grado di offrire nulla. Tanto è vero che, durante il negoziato, non hanno mai detto di volere liberare il pilota ma soltanto che «non morirà».
Quindi, guardando sempre ai «tempi», l’Isis ha diffuso le immagini della gabbia di fuoco con al centro Muath. Significativa la coincidenza con un inatteso viaggio del re giordano Abdallah a Washington. Adesso tocca al sovrano rispondere e non saranno parole ma la spada.
Guido Olimpio


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