Gli attuali dirigenti di Podemos — Possiamo. Yes, we can — sono cresciuti alla scuola dell’attivismo di piazza, hanno militato in organizzazioni antagoniste della sinistra radicale, a volte riformista. Sbaglia chi li paragona al movimento Cinquestelle: a parte l’uso della Rete e la radice grassroot , movimenti di cittadini di base, sono assai più le differenze sostanziali delle somiglianze apparenti. Piuttosto il loro specchio è quello di Syriza: soprattutto perché Tsipras ha vinto e come hanno detto gli spagnoli: «Con loro riconquisteremo l’Europa, quella dei diritti e della dignità». Perché Podemos è un movimento radicato nella sinistra politica, al contrario dei grillini siede nel gruppo della sinistra all’Europarlamento, i suoi leader sono docenti universitari con un lungo passato di militanza. Vengono dalla contro-informazione, dalla gioventù comunista. Poi sono andati all’Università, i ragazzi e le ragazze della nidiata di “El Coleta”, Codino — così chiamano Pablo Iglesias Turriòn, il leader — e si sono tutti, quasi tutti laureati in Scienze politiche o in Filosofia. La generazione che potrebbe presto governare la Spagna nasce dall’incubatrice della Facoltà di Filosofia della Complutense di Madrid, una culla di pensiero non molto diversa da quello che fu la Facoltà di Sociologia di Trento negli anni Sessanta-Settanta.
Tempi diversi, ovviamente, diverse conseguenze. Tuttavia non si riesce a mettere a fuoco lo strabiliante e rapidissimo successo di Podemos se non si legge la radice ideologica e culturale del movimento. Che nasce dalla sinistra, e dall’università. Tutti, quasi tutti i leader anche locali sono docenti plurilaureati e dottorati, per quanto spesso precari. Hanno fatto gavetta nelle rivoluzioni sociali dell’America Latina. Avrebbero militato nei partiti della sinistra tradizionale se solo li avessero lasciati entrare: invece il Psoe (a volte Izquierda Unida) li ha chiusi fuori dai circuiti delle decisioni, li ha mandati a fare minoranza nei consigli di quartiere o oltreoceano. Col movimento zapatista in Messico, nella guerra per l’acqua in Bolivia, coi caracazos in Venezuela. Chavez e Morales i loro riferimenti politici. In conclusione dell’oceanica assemblea di Vistalegre, il 18 ottobre scorso, hanno suonato “L’estaca” di Lluis Llach, inno anti-franchista catalano scritto nel maggio ‘68. Come se in Italia si chiudesse un’assemblea politica fitta di venti e trentenni con “I treni per Reggio Calabria” di Giovanna Marini. Del resto Antonio Gramsci, Ernesto Laclau, Toni Negri e Slavoj Zizek sono i testi nelle loro biblioteche. Questi i riferimenti di el Coleta, insieme naturalmente a Game of Thrones ( Il Trono di Spade, n.d.r.).
Podemos si è presentata in pubblico per la prima volta il 17 gennaio 2014. Dopo 128 giorni, il 25 maggio, ha preso alle europee un milione e duecentomila voti, 5 deputati eletti. 128 giorni, una cosa mai vista. Ha seminato panico e condivisa ostilità in tutti i partiti dell’arco costituzionale. A novembre, un mese dopo l’assemblea dell’inno anti-franchista, i sondaggi li davano al 27 per cento, primo partito di Spagna. Il 4 febbraio, a Madrid, hanno invaso la Puerta del Sol. L’ultima previsione di voto, tre giorni fa, li vede al 27.7. Ancora il calo il Pp di governo di Mariano Rajoy, al 20.9. In caduta libera il Psoe del bel Pedro Sanchez, al 18.3. Alle prossime elezioni generali di novembre 2015 se non si fermano vincono. «Non ci fermiamo. Non siamo qui per fare testimonianza ma per governare», dice Iglesias. Il manifesto del suo pensiero, da settimane bestseller, si intitola “Vincere o morire. Lezioni politiche in Game of Thrones”. E’ ispirato alla serie tv, avverte una nota, non ai libri. E’ scritto a molte mani dai principali dirigenti di Podemos. Professori e ricercatori di filosofia e scienze politiche, appunto. Per capirsi, i titoli di qualche capitolo. Juan Carlos Monedero firma il saggio “Innamorarsi di un camminante delle nevi ma sposare un Lannister”. Monedero, classe 1963, è l’anziano del gruppo: politologo alla Complutense ed editore, già assistente di Chavez, ora conduce il talk “La Tuerka”, una cosa come ‘giro di vite’ con la kappa a segnalare antagonismo: è il programma che ha reso celebre Iglesias il quale tuttora, qualche giorno, lo conduce. Altri capitoli del saggio. Ruben Martinez Dalmau: “Un uomo molto piccolo può proiettare un’ombra molto grande. La legittimità del potere del re in Game of Thrones”. Hector Meleiro: “Perché Ned Stark perde la testa?”. Nella lunga prefazione lo stesso Iglesias spiega la musa ispiratrice di Podemos sia Daenerys Targaryen, Madre dei Draghi e Distruttrice di Catene. La regina Khaleesi insegna — scrive — che «né lignaggio né diritti dinastici né stirpe bastano da soli a dare legittimità. Libera gli schiavi e dice loro: non sono io che vi ho liberato, la libertà è vostra». Un manifesto, in sostanza. «Serve in chi governa la connessione con azioni esemplari. I governanti invece si comportano come Joffrey, che pensa che gli basti stare seduto sul Trono di Ferro per essere riconosciuto come legittimo rappresentante del potere. Sono trincerati, barricati nei loro uffici dentro le loro macchine blindate ». L’odiata casta. «Come in GoT anche nella nostra società si sono rotti i patti che garantivano pace e stabilità. Il potere è contendibile. La sfiducia cresce a ritmo esponenziale e ciascuno ha ogni giorno meno ragioni per obbedire ». E’ questo un linguaggio, un esempio che chiunque in quella generazione capisce. A destra come a sinistra. Le analisi dei flussi elettorali mostrano che il 17 per cento degli elettori di Podemos viene dal Ppe. Del resto Iglesias dice che «la parola sinistra impedisce a chiunque abbia avuto un nonno fucilato dai rossi di votare per noi», e la esclude. A destra e sinistra si sono sostituite nuove parole chiave: quelli di sopra e quelli di sotto. Il «99 contro l’1 per cento», come negli slogan di Occupy. Egemonia, legittimazione. Non classe operaia ma precariato. Il nuovo soggetto politico. Le indagini pubblicate dalle migliori riviste — La Maleta de Portbou una di queste — mostrano come in sei anni, dal 2008 al 2014, sia aumentato di 12 punti il precariato dei 30-40enni di istruzione medio superiore. Una generazione che non ha altro da perdere se non la sfiducia. La colonna vertebrale di Podemos, il cui slogan è «Trasformare l’indignazione in cambiamento politico». In governo, insomma. Qualche biografia aiuta a capire. Pablo Iglesias, 1978. Un nonno condannato a morte dal franchismo, poi graziato, un altro fondatore dell’Ugt, sindacato paragonabile alla nostra Cgil. Prime esperienze nella gioventù comunista, movimento no global, Izquierda unida. Laurea in giurisprudenza e scienze politiche, master in comunicazione. Un anno all’università di Padova, in contatto con Luca Casarini. Fa carriera accademica e insieme conduce un programma in tv, La Tuerka, che lo lancia come leader. La sua compagna, Tania Sanchez Melero, 1979, è stata fino al 4 febbraio deputata per Izquierda Unida. Ha abbandonato il gruppo per «creare una nuova formazione politica», vedremo quale. Anche lei, come il compagno con la coda di cavallo, viene dai movimenti: ha un passato punk di cui il piercing al labbro resta testimone. Teresa Rodrigues, 1981, andalusa, è stata eletta all’Europarlamento dove indossa d’abitudine maglie Free Palestine. Laureata in filologia araba viene dal mondo delle proteste anti-Nato, attivista di Marea verde. Il suo film preferito è ‘Terra e libertà’ di Ken Loach. Il suo libro d’elezione la raccolta di scritti di David Franco Monthiel, classe 1976, una rassegna delle parole della protesta dalla morte di Carlo Giuliani ad oggi. Gemma Ubasart, candidata a guidare la formazione in Catalogna (le primarie si aprono oggi e si chiudono il 14 febbraio) è docente di Diritto all’università di Girona. Inigo Erregon, 1983, leader della campagna elettorale per le europee. Ricercatore in Scienze politiche alla Complutense, tesi di dottorato sulla politica dei Mas in Bolivia. Ha lavorato in Venezuela, era al G8 di Genova tra i manifestanti il giorno della morte di Giuliani. Poi c’è il gruppo dei filosofi. Daniel Iraberri Perez e Luis Alegre Zahonero, tra i tanti. Cresciuti nella contro-informazione, allievi di Carlos Fernandez Liria, 1959, ideologo del gruppo e stretto collaboratore di Hugo Chavez in Venezuela.
Sono queste le persone che hanno redatto il manifesto di Podemos. Nazionalizzazioni, equo sistema fiscale, più servizi pubcome blici, più partecipazione di base. «Un programma che qualunque democratico può votare», dice Iglesias. «E se la signora Merkel vuole governare il nostro paese venga a farsi eleggere qui. Quanto all’euro: no, non usciremo dall’euro in nessun caso». Si finanziano con il crowdfounding.
Qualche notevole donatore deve aver avuto la sua parte nella fase d’impulso. Si parla di Jaume Roures, imprenditore trotkista, già editore di Mediapro ( Publico, la Sexta ), oggi produttore cinematografico: “Comandante” di Oliver Stone.
Il problema, ora sull’onda del successo, è evitare di imbarcare cambiacasacca corrotti e arrivisti, dice Iglesias. Succede spesso, è successo in Italia a Di Pietro. «Ma noi abbiamo dalla nostra l’evidenza del saccheggio prodotto dalla politica arroccata al potere. La disillusione dei cittadini, la loro frustrazione è il motore del cambiamento. Siamo qui per trasformarla, attraverso le migliori competenze, in governo politico ». E’ «un utopista regressivo», dice Felipe Gonzalez di Iglesias. «Populisti», volta le spalle Pedro Sanchez il neo-segretario socialista. «Sovvertitori della democrazia », dicono i leader del Ppe. «Sovvertitori del potere», corregge Iglesias, che di nuovo cita la regina Khaleesi. «Il potere è scalabile. La legittimità è nella connessione col popolo. Il potere nasce dalla moralità di azioni esemplari. Poi serve un esercito». Da Game of Thrones alla conquista del Regno. Il giovane Re Felipe di Borbone di certo conosce la saga. Se non i libri, almeno la serie tv.