Pre­si­dente, l’articolo 11

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Dav­vero quello di ieri in Par­la­mento del pre­si­dente Ser­gio Mat­ta­rella è stato un discorso non reto­rico d’investitura. Così come del resto, il giorno prima, il gesto di straor­di­na­ria rile­vanza: appena nomi­nato pre­si­dente, «c’è Stato» a ren­dere omag­gio alle Fosse ardea­tine, il luogo testi­mone della vio­lenza dell’occupazione nazi­sta, della ver­go­gna del fasci­smo, della volontà di ribel­lione e riscatto della Resi­stenza. E soprat­tutto sim­bolo nella capi­tale d’Italia della tra­ge­dia san­gui­nosa rap­pre­sen­tata dalla guerra.

Che, nella Seconda guerra mon­diale, ha pro­dotto un cimi­tero di 50milioni di morti, lo ster­mi­nio della Shoah, e che si è con­clusa con le «paci­fi­ste» ato­mi­che di Hiro­shima e Nagasaki.

Nell’asciutto e pre­ciso inter­vento rivolto dal Par­la­mento agli ita­liani, una affer­ma­zione è apparsa subito chiara risuo­nando come un monito: la garan­zia più forte della nostra Costi­tu­zione con­si­ste nella sua appli­ca­zione, «nel viverla ogni giorno». E garan­tire la Costi­tu­zione, signi­fica tra l’altro «ripu­diare la guerra e pro­muo­vere la pace»: eccolo l’articolo 11 nel suo primo enun­ciato. Dichia­ra­zione che, nello stile di chi dichiara di essere attento al quo­ti­diano, alle dif­fi­coltà reali dei «con­cit­ta­dini», è sem­brato tutt’altro che reto­rica. Soprat­tutto riven­di­cata nella sede isti­tu­zio­nale più alta, dopo tanti silenzi e ipocrisie.

Ma nel seguito delle sue parole e nell’accoglienza tra i par­la­men­tari, molte ambi­guità sulla que­stione della guerra riman­gono. Sia nell’affermazione: «…A livello inter­na­zio­nale la meri­to­ria e indi­spen­sa­bile azione di man­te­ni­mento della pace, che vede impe­gnati i nostri mili­tari in tante mis­sioni, deve con­so­li­darsi con un’azione di rico­stru­zione poli­tica, sociale e cul­tu­rale senza la quale ogni sforzo è desti­nato a vani­fi­carsi». Sia nel rin­gra­zia­mento «…alle forze armate, sem­pre più stru­mento di pace ed ele­mento essen­siale della nostra poli­tica estera e di sicu­rezza…». In quale crisi — nei Bal­cani, in Iraq, in Afgha­ni­stan o in Libia -, l’uso della forza e della guerra «uma­ni­ta­ria» con la pre­senza inter­ven­ti­sta dei nostri sol­dati ha aiu­tato a risol­vere quei con­flitti e non ha invece incan­cre­nito la situa­zione, anche con la co-responsabilità in stragi con tante, troppe vit­time civili e fughe di milioni di disperati?

Per­ché tutto, nel discorso del Pre­si­dente Mat­ta­rella — sia quello in Par­la­mento che dopo la visita alle Fosse ardea­tine -, viene inscritto comun­que nella neces­sità di rispon­dere al «ter­ro­ri­smo inter­na­zio­nale» e ai «pre­di­ca­tori di odio» che insi­diano la nostra sicu­rezza e i nostri valori. Senza inter­ro­garsi mai se l’uso della forza mili­tare, vale a dire della guerra, abbia fin qui aiu­tato a fer­mare il ter­ro­ri­smo e non piut­to­sto a semi­nare mag­giore odio. Non è forse l’uso della guerra a pre­giu­di­care la pace e per­fino gli sforzi di pace degli orga­ni­smi inter­na­zio­nali? Visto il modo in cui è stata presa la deci­sione di par­te­ci­pare a molti con­flitti, con­tro e oltre la volontà dell’Onu. E ancora, come si rifiuta la guerra se le Forze armate ven­gono pro­mosse al rango di «ele­mento essen­ziale della poli­tica estera» che invece dovrebbe essere pro­pria della diplo­ma­zia, di fatto ine­si­stente in Ita­lia e nell’Unione euro­pea? Se dopo l’89 e la Guerra fredda, si è aperta ricorda Mat­ta­rella, una sta­gione nuova in Europa, che ci stanno a fare 100 piloti ita­liani di cac­cia­bom­bar­dieri nei Paesi bal­tici al seguito della stra­te­gia di allar­ga­mento a est della Nato, peri­co­lo­sa­mente al con­fine della Rus­sia? Dav­vero que­sto aiu­terà la con­clu­sione della crisi ucraina o al con­tra­rio l’approfondirà verso un con­fronto pre-’89?

E tutto que­sto quanto ci costa, visti i magri bilanci tagliati per via della crisi? Per­ché, se pro­prio non vogliamo ripe­tere la frase a noi cara del Pre­si­dente San­dro Per­tini, «Si aprano i gra­nai si chiu­dano gli arse­nali di armi», almeno osser­viamo che dai dati uffi­ciali di Nato e Sipri, l’attuale spesa mili­tare dell’Italia si aggira tra 50 e 70 milioni di euro al giorno. Al giorno. Senza dimen­ti­care che gli F-35 dal costo miliar­da­rio, sono stru­mento d’offesa non di difesa.

Eppure l’articolo 11 della Costi­tu­zione ita­liana rifiuta la guerra pro­prio «come mezzo di riso­lu­zione delle crisi inter­na­zio­nali». Senza malin­ter­pre­tare il secondo comma dell’articolo (che mette a dispo­si­zione risorse per sod­di­sfare le richie­ste degli orga­ni­smi inter­na­zio­nali come l’Onu), come fosse un’autorizzazione a fare la guerra, magari agget­ti­vata con «uma­ni­ta­ria». Ma come può la seconda parte di un arti­co­lato costi­tu­zio­nale fon­da­tivo con­trad­dire e negare la prima parte? Altri­menti, che costi­tu­zione sarebbe. Pen­sate se l’ arti­colo 1 che fonda l’Italia sul lavoro, dichia­rasse nella sua seconda riga invece fon­da­tiva la disoc­cu­pa­zione. La guerra è espli­ci­ta­mente «rifiu­tata». Pur­troppo di que­sto rifiuto si è fatto uso e abuso, e vale la pena ricor­dare che l’avvio della fine della leva mili­tare pro­mosso dal mini­stro della difesa Mat­ta­rella, non ha decre­tato la fine della par­te­ci­pa­zione ita­liana alle guerre ma il con­tra­rio: a par­tire dal 1999, quando Mat­ta­rella era vice-premier, è comin­ciata una nuova sta­gione della Nato che, con la guerra di raid aerei sulla ex Jugo­sla­via, si è tra­sfor­mata da patto di difesa in trat­tato offen­sivo, pronto all’intervento mili­tare. Quel con­flitto è diven­tato il modello di altre avven­ture bel­li­che come in Iraq, Afgha­ni­stan, Libia, Siria» e via dicendo.

Così, alla fine dav­vero è suo­nata appro­priata la stan­ding ova­tion di tutto il Par­la­mento appena Mat­ta­rella ha nomi­nato i «due marò». Certo, con­cor­diamo anche noi che due anni e mezzo di deten­zione senza pro­cesso sono insop­por­ta­bili, in India e sotto ogni giu­ri­sdi­zione. Ma come dimen­ti­care che que­sta dram­ma­tica vicenda è nella scia della scel­le­rata deci­sione bipar­ti­san del Par­la­mento che ha auto­riz­zato i mili­tari dello Stato ita­liano a fare da scorta a navi­gli pri­vati in difesa dei «pirati»; così indi­scri­mi­nata e poco mirata che abbiamo spa­rato, ucci­dendo due dimen­ti­cati pesca­tori indiani, in un’area, le coste del Kerala, dove la pira­te­ria non c’è. Soprat­tutto Mat­ta­rella ha fatto bene a rin­gra­ziare i tanti mili­tari morti nell’adempimento del loro dovere. Quei tanti marò di cui nes­suno parla, malati ter­mi­nali o morti per l’uranio impoverito.

Ora se la pre­si­denza Mat­ta­rella «pro­muo­verà la pace», sarà anche il Pre­si­dente dei paci­fi­sti. E ci aiu­terà a tirare fuori lo sche­le­tro della guerra dall’armadio delle demo­cra­zie occidentali.



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