Nutrire il pianeta? Sì, ma solo a parole. Gli aiuti alimentari internazionali sono crollati
L’Expo 2015 di Milano, con il suo slogan “nutrire il pianeta”, è ormai alle porte. Ma mentre i grandi del mondo si preparano a partecipare alla manifestazione, non sembrano altrettanto pronti a tramutare le intenzioni in azioni concrete.
E’ quello che si scopre andando ad analizzare i dati sugli aiuti alimentari nel mondo. Secondo il World Food Programme , una costola delle Nazioni Unite che fornisce i numeri più completi in merito, nell’ultimo anno finora esaminato, cioè il 2012, questi aiuti sarebbero ammontati a 5 milioni di tonnellate di cibo, l’85 per cento delle quali costituite da cereali e l’89 per cento distribuite gratuitamente alla popolazione dei paesi bisognosi.
Ma se questi 5 milioni possono sembrare una piramide enorme di cibo, in realtà sono esattamente la metà di quanto veniva donato nel 2001. Da molti anni infatti, secondo il documento2012 Food Aid Flows , le donazioni sono andate via via calando fino a raggiungere nel 2011 e nel 2012 il minimo storico. Cifre che ci spingono sempre più lontano rispetto a quel “nutrire il pianeta” di cui si fregia l’esposizione milanese.
I donatori internazionali sono tanti e di diverso tipo: ci sono gli enti governativi, le organizzazioni internazionali, le Ong e diversi enti privati. In testa, nemmeno a dirlo, alcuni dei grandi player dello scenario economico mondiale come Stati Uniti, Giappone, Canada e due economie emergenti: il Brasile e la Cina, oltre alle stesse Nazioni Unite.
Ma a farla da padrona è sempre l’emergenza. Lo dicono i dati: la maggior parte degli aiuti nel 2012 (il 70 per cento) ha riguardato le emergenze umanitarie. Non si possono infatti raccontare i dati sugli aiuti se non si distingue fra ciò che è programmatico e quello che non lo è. L’emergenza viene prima, e non solo essa rappresenta oggi la fetta più grossa delle donazioni, ma focalizza l’attenzione sui paesi che stanno vivendo situazioni particolari di difficoltà magari a causa di guerre, epidemie o eventi naturali.
Una geografia che non sempre ricalca perfettamente quella della povertà a livello mondiale raccontata da altre statistiche ufficiali, come quella della World Bank , che il primo luglio di ogni anno classifica le nazioni sulla base della loro ricchezza pro capite. Ebbene, come emerge anche dal grafico che incrocia queste ultime statistiche con i dati WFP, nella top 10 dei paesi che hanno ricevuto più aiuti nel 2012 non figurano i paesi più poveri del mondo, i cosiddetti low income countries e, fra quelli che compaiono, spesso si notano profonde disomogeneità.
Al contrario, nei programmi di aiuto alimentare, che rappresentano il rimanente 3 per cento, il cibo vola alto, passando dal governo donatore al governo ricevente, per essere poi venduto nei mercati locali.
In ogni caso, non possiamo comunque semplificare dicendo che sono i paesi tradizionalmente “ricchi” che stanno alimentando quelli più poveri. Secondi i dati riportati, paesi come Brasile e Cina da soli lasciano un’impronta decisamente più marcata rispetto a Francia, Germania e Regno Unito messi insieme.
Sempre esaminando il gruppo dei low income, notiamo infatti che fra i G8, a parte gli Stati Uniti che nel 2012 avevano donazioni attive con la maggior parte dei paesi più poveri del mondo, le altre superpotenze non possono dire di aver fatto lo stesso. Tranne la Russia, che però ha destinato quasi tutte le sue donazioni alla Corea del Nord.
L’Italia di Expo e della Carta di Milano è invece oggi all’ultimo posto fra i G8, con un totale di 7.263 tonnellate di cibo,1.800 delle quali inviate ai paesi low income. Se non ci sembra male, specie perché non avrebbe senso paragonare il nostro piccolo stivale a paesi grandi come gli Stati Uniti o la Cina, ci si sta poco a ricalibrare gli entusiasmi: basti considerare, per esempio, che nel 2001 donavamo oltre 12 volte tanto rispetto a oggi, e nel 1992 addirittura 32 volte di più. Una differenza decisamente più marcata rispetto al trend mondiale che in 10 anni ha dimezzato gli aiuti alimentari.
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