Nel video dell’Isis la minaccia al nostro Paese E 200 mila migranti sono pronti a sbarcare

Nel video dell’Isis la minaccia al nostro Paese E 200 mila migranti sono pronti a sbarcare

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ROMA È il momento di crisi peggiore da quando i fondamentalisti dell’Isis hanno messo nel mirino l’Europa e ora in un video che mostra la decapitazione di 21 ostaggi annunciano: «Siamo a sud di Roma». Perché per l’Italia si apre in maniera drammatica un doppio fronte di emergenza: da una parte i flussi migratori, dall’altra i jihadisti in una miscela che in Libia rischia di fondersi in un unico pericolo visto che molti miliziani, dopo la caduta del regime di Gheddafi, gestiscono i traffici illeciti primo fra tutti proprio quello che riguarda i clandestini. E quale sia il livello di rischio si è capito ieri pomeriggio quando alcuni uomini armati di kalashnikov hanno minacciato i marinai di una motovedetta della Guardia costiera italiana che si era spinta davanti alla costa di Tripoli per soccorrere migranti che avevano lanciato l’Sos. E hanno costretto il capitano a restituire il barcone vuoto che invece era già stato sequestrato. Le ultime stime parlano di 600 mila stranieri presenti in Libia, 200 mila già sistemati in cinque campi di raccolta e pronti a imbarcarsi. Ma parlano soprattutto di circa 7 mila combattenti di Ansar Al Sharia che hanno aderito all’appello del Califfo e stanno marciando per conquistare il Paese. A loro potrebbero aggiungersi i seguaci di altri gruppi fondamentalisti determinati a far prevalere l’Islam impedendo l’occupazione di una coalizione occidentale. Gli analisti sono concordi nel ritenere che mai il nostro Paese è stato così esposto.
Il vertice urgente
I report degli apparati di intelligence e di sicurezza confermano che in poche settimane la situazione può degenerare visto che dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di Tripoli del 27 gennaio scorso l’Isis ha mostrato di voler avanzare rapidamente ed è già riuscita ad ottenere il controllo di molte aree principali del Paese. Il governo di Roma preme per un intervento dell’Onu che gli affidi un ruolo primario, ma nella consapevolezza che i tempi potrebbero non essere brevi si stanno valutando anche altre possibilità non esclusa quella di un intervento armato in ambito Nato. L’ipotesi è quella di ricorrere alle intese siglate nel settembre scorso a Cardiff e poi a Parigi proprio per fare fronte comune contro i fondamentalisti guidati da Abu Bakr al-Baghdadi. Sei mesi fa erano circa 25 gli Stati che avevano aderito, adesso è in corso una nuova consultazione diplomatica proprio per misurare l’eventuale capacità operativa. Si tratta comunque di una missione con numerose incognite come è stato ribadito più volte in queste ore in ambito militare sottolineando la necessità di mettere a punto «la copertura giuridica internazionale per uno schieramento di almeno 20 mila uomini».
L’attacco agli impianti
La convinzione rimane comunque quella legata a tempi di azione strettissimi, proprio per evitare che si alzi ulteriormente il livello di minaccia contro l’Italia dopo il proclama che puntava al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ed è stato interpretato come una chiamata alle armi per chiunque sia in grado di passare all’azione. C’è la consapevolezza che l’incitamento a colpire l’Italia per i terroristi potrebbe voler dire nell’immediato anche assaltare le sue postazioni locali con un danno che potrebbe rivelarsi enorme. Le relazioni degli 007 ribadiscono il pericolo di attentati contro i giacimenti petroliferi e del gas, le sedi delle aziende che — nonostante il richiamo della Farnesina — sono costrette a tenere personale sul posto per far funzionare gli impianti. Gli interessi del nostro Paese in Libia sono molteplici, primi fra tutti quelli legati all’attività dell’Eni, con lo stabilimento di Mellitah tra i suoi impianti strategici, Finmeccanica, numerose aziende controllate e altre private.
I campi profughi
Grande preoccupazione anche per l’esodo che la crisi libica potrebbe provocare. Sono cinque i campi di raccolta dei profughi dove i trafficanti stanno ammassando chi vuole partire: oltre al porto di Zwara, Sabrata, Janzur, Tripoli e Garabulli. Le ultime stime parlano di circa 600 mila stranieri che vivono nel Paese, di cui 200 mila intenzionati a lasciarlo. Il rischio altissimo è che una guerra civile possa far salire il numero di chi si trova costretto ad andare via. E diventi così preda dei miliziani che guadagnano milioni di dollari con il traffico dei barconi. Già nelle prossime ore approderanno in Sicilia almeno un migliaio di stranieri. Moltissimi altri potrebbero arrivare nel giro di pochi giorni.
Fiorenza Sarzanini


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