by redazione | 12 Febbraio 2015 9:22
Nel primo anniversario della cacciata di Viktor Yanukovich, l’economia ucraina resta quella che era quel giorno, il 22 febbraio del 2014. Più vicina al fallimento che agli standard minimi europei.
Il vecchio regime si era rivolto, già nel 2010, al Fondo monetario internazionale. Poi, mentre comparivano le prime tende in Maidan, aveva chiesto un altro prestito di 15 miliardi di dollari. Senza quelle risorse l’amministrazione statale non sarebbe stata in grado di pagare pensionati e dipendenti pubblici nel giro di qualche settimana.
Oggi il governo di coalizione pro Ue, guidato da Arseniy Yatsenyuk, si ritrova davanti una realtà, se possibile, ancora più drammatica. Nel marzo del 2014 la direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde, firmò la concessione del finanziamento. Ma quei 15 miliardi si sono rapidamente polverizzati. Adesso ne occorrono altri 15 secondo valutazioni dell’Unione Europea o forse almeno 27 miliardi, stando alla stima riportata ieri in un commento del Financial Times , firmato da Martin Wolf. Secondo il quotidiano inglese Europa e Usa devono farsi carico della «stabilizzazione dell’Ucraina», concedendo a Kiev tutte le risorse che occorrono.
Il bilancio di uno Stato è un esercizio politico, prima ancora che contabile. La guerra con la Russia è ormai dentro l’economia, la finanza pubblica, i commerci di Kiev. Negli ultimi dodici mesi la produzione di ricchezza è sprofondata dell’8%. Ed è ancora poco, se si pensa che le attività del Donbass occupato dai separatisti, il bacino carbonifero e dell’industria pesante integrata con la Russia, vale il 16% del Pil nazionale. Il crollo della moneta e la fuga dei capitali hanno già fatto precipitare le riserve valutarie sotto il livello di guardia: da 35 miliardi a 10 in tre anni.
Nel 2104 lo Stato ha speso per l’esercito circa 2-3 miliardi di dollari. Quest’anno la posta sale fino a 5,7 miliardi per poter inviare altri 40 mila militari (250 mila il totale degli effettivi nel Paese) contro i reparti dei filorussi e le truppe di Vladimir Putin. Nel conto aperto con Mosca va calcolato anche il rimborso senza sconti dei debiti con Gazprom: l’anno scorso Kiev aveva già stanziato 1,4 miliardi; ora se ne aggiungono altri 2,03.
Quanto peserà allora nel 2015 la voce «guerra alla Russia»? Solo la perdita del Donbass sottrae dai circuiti economici ucraini un potenziale di ricchezza da 28 miliardi di dollari. Nel bilancio pubblico le cifre, naturalmente sono più contenute. Il calo del Pil dell’8% si traduce in meno entrate fiscali per 1,2-1,5 miliardi di dollari; l’aumento delle spese militari in altri 2-2,5 miliardi; il debito Gazprom in 2 miliardi. Totale: da 5,2 a 6 miliardi di aggravi, circa il 17 per cento del bilancio.
A valle dei conti pubblici, la tenuta sociale è in bilico. A Kiev i salari medi di 300 dollari bastano a mala pena a pagare l’affitto e a fare la spesa, aggrediti come sono da un’inflazione reale vicina al 18%. Nel resto del territorio si allargano, come in un’infezione, le sacche di povertà. Se l’Occidente vuole salvare l’Ucraina difficilmente potrà sottrarsi alla richiesta di nuovi finanziamenti.
Giuseppe Sarcina
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