Ma è già troppo tardi economia greca da 2 mesi al punto “di non ritorno”

Ma è già troppo tardi economia greca da 2 mesi al punto “di non ritorno”

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Da settimane i ministri di Grecia, Germania, Francia o i leader della Commissione e della Banca centrale europea non fanno che porsi le stesse domande: quanto ammorbidire gli obiettivi bilancio di Atene nei prossimi anni, come alleviare il peso del debito nei prossimi decenni. Nessuno di loro, almeno non in pubblico, menziona quello che con il passare dei giorni sta diventando l’ostacolo principale a un accordo: potrebbe già essere troppo tardi, o potrebbe diventarlo fra non molto. La Grecia in questi ultimi due mesi — si inizia a sospettare — forse è già arretrata verso un punto dal quale tornare indietro non sarà facile.
Mentre i vertici a Bruxelles continuano ad andare a vuoto, la Grecia sta scivolando così indietro e così in fretta da rendere sempre più alto — per tutti — il costo di un compromesso. Le stime della correzione di rotta sul bilancio del 2015, quelle dei prestiti necessari a puntellare ancora una volta il capitale delle banche crescono con il passare dei giorni. Ormai oltre, forse, la disponibilità di entrambi i fronti a sopportare ancora.
Non doveva andare così. Da quando è riesplosa in dicembre con la fine anticipata della legislatura ad Atene, questa è sempre stata una saga della politica. Syriza contro le vecchie élite in Grecia. Il neo-premier Alexis Tsipras contro il pensiero unico europeo incarnato dalla cancelliera Angela Merkel. Nel frattempo però, lungo un binario meno illuminato, stava succedendo qualcosa di quasi altrettanto fondamentale: l’economia greca ha ricominciato a ripiegarsi su se stessa. È questo lo scollamento che ora sbarra la strada dei negoziati fra Atene e i suoi creditori.
Si tratta di una svolta imprevista. Dopo anni di sacrifici, nei primi nove mesi dell’anno scorso la Grecia era tornata a crescere più della Francia e molto più dell’Italia; il deficit pubblico di Atene era stato inferiore a quello di entrambe. Bruxelles stimava sul 2015 un aumento del Più del Paese di quasi il 3%, più di Spagna e Germania. Poi la morsa dell’incertezza in vista del voto del 25 gennaio, e quella seguita alla vittoria di Tsipras, hanno bloccato tutto: fra novembre e gennaio gli indici di fiducia in Grecia fotografati dalla Commissione europea sono repentinamente crollati, da sopra a molto sotto le media dell’area euro (mentre salivano in tutto il continente). Dopo sei mesi di crescita al ritmo annuo del 2%, a fine anno il reddito nazionale si è contratto. La Grecia è ripiombata nella recessione da cui era uscita in aprile scorso.
Non è strano. Quando le imprese e le famiglie non sanno più chi e come governerà il Paese tra un mese o quale sarà il rapporto con l’Europa fra due, inevitabilmente scende la paralisi. Questo basta a peggiorare le finanze dello Stato, ma da quando in dicembre furono indette le elezioni molti greci sembrano anche aver smesso di pagare le tasse. Alcuni hanno preso come una licenza per tornare a evadere l’annuncio di Syriza sulla soppressione, dai prossimi mesi, dell’imposta sulla casa o la scelta di mantenere tassi agevolati sull’Iva nelle (prospere) isole dell’Egeo. Secondo l’ Economist, le entrate fiscali sono già crollate di oltre il 20% e la Grecia è tornata in profondo rosso. Gli governi europei chiederanno dunque a Tsipras una manovra correttiva subito, prima di accordare i nuovi prestiti di cui il governo ha disperatamente bisogno: senza di essi, non è chiaro come possa pagare gli stipendi di marzo agli statali. Il premier è sotto pressione, ma per lui imporre una stretta di bilancio fin dai primi mesi al potere equivarrebbe a smentire tutto ciò per cui si è presentato ai greci. Sarebbe un ripudio della linea grazie alla quale oggi Syriza viaggia al 45% nei sondaggi. I margini di manovra sulle prossime mosse sono dunque minimi. E più frena l’economia, più tornano a peggiorare i conti, più quegli spazi si erodono ancora.
Poi ci sono le banche. In due mesi hanno perso 20 miliardi di depositi, perché i cittadini ritirano i risparmi nel timore che il nuovo governo blocchi e tassi i loro conti. Soprattutto, almeno due banche hanno visto la proprio patrimonio erodersi perché, in questa atmosfera, imprese e famiglie hanno smesso di pagare le rate sui debiti. Quegli istituti presto rischiano di aver bisogno di un’ennesima infusione di capitale dai governi europei. Ma c’è sempre un punto oltre il quale — a torto — il senso di déjà vu crea solo disgusto.


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