by redazione | 12 Febbraio 2015 9:31
NEW YORK L’autorizzazione a combattere per tre anni contro lo Stato islamico con le mani libere usando, se necessario, anche truppe americane in scontri sul campo. Con la risoluzione trasmessa ieri al Congresso, Barack Obama chiede a repubblicani e democratici una prova di coesione politica su una questione, la guerra in Iraq e nelle regioni circostanti, che è uno dei principali tormenti della sua presidenza. Accusato di essersi ritirato da Bagdad troppo presto e di non essersi impegnato adeguatamente in Siria, lasciando così spazio all’Isis, il presidente americano ha lanciato già da sei mesi un’offensiva aerea contro il Califfato, con l’appoggio di una coalizione di 60 Paesi.
Ieri Obama ha inviato una lettera al Congresso e poi ha parlato all’America (affiancato dal suo vice, Joe Biden, dal capo della diplomazia, John Kerry, e dai capi del Pentagono) spiegando che fin qui gli alleati hanno condotto più di duemila missioni di bombardamento imponendo all’Isis una ritirata in Iraq, mentre in Siria la situazione è più difficile. Bisogna quindi prepararsi all’eventualità di interventi più massicci, anche con l’impiego di forze di terra. Il presidente ritiene di avere comunque i poteri per ordinare alle forze Usa di combattere contro l’Isis «che altrimenti diventerà una minaccia per noi e i nostri alleati anche al di fuori del Medio Oriente». Ma chiede di potersi muovere con la necessaria flessibilità, visto che la situazione potrebbe spingerlo a rimangiarsi l’impegno a suo tempo preso con gli americani: non usare più «boots on the ground», soldati Usa sul campo di battaglia. Al tempo stesso, dando all’autorizzazione bellica un orizzonte temporale di tre anni, Obama dice implicitamente che la guerra quasi certamente non potrà essere vinta prima della fine del suo mandato presidenziale.
E’ la prima volta da 13 anni a questa parte che la Casa Bianca chiede al Congresso l’autorizzazione a condurre operazioni di guerra. I precedenti sono quelli del settembre 2001, quando George Bush, subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle, si fece dare poteri illimitati per combattere contro Al Qaeda e poi del 2002 quando il Parlamento autorizzò l’invasione dell’Iraq.
Nel presentare la sua iniziativa, tuttavia, Obama ha sottolineato le profonde differenze rispetto a quegli atti. Bush chiese e ottenne un assegno in bianco e lanciò massicce campagne di terra. Stavolta il presidente assicura che non ci saranno offensive simili. La strategia continua ad essere quella di una guerra aerea con le operazioni di terra condotte dalle truppe locali. Aiutate e addestrate dalle forze alleate (gli americani hanno già rimandato circa tremila istruttori in Iraq a preparare i ribelli siriani) che, però, non dovrebbero partecipare ai combattimenti. Ma ci saranno eccezioni. Obama ha fatto l’esempio delle forze speciali da usare per un «blitz» che gli eserciti locali non hanno la capacità tecnica di realizzare. E si è già parlato della possibilità di usare gruppi di marines in alcune situazioni critiche.
Consapevole che la sua risoluzione potrebbe non passare in un Congresso a maggioranza repubblicana, Obama ha discusso nei giorni scorsi la sostanza e il testo del documento coi leader dei due partiti, nella speranza di riuscire ad avere un consenso bipartisan. Ma ieri sono emerse subito alcune divisioni, anche se in controtendenza rispetto alle dinamiche politiche tradizionali. Alcuni senatori democratici, soprattutto quelli su posizioni «liberal», si sono detti poco propensi a concedere al presidente poteri di guerra così ampi: il potere di attaccare ovunque nel mondo dove dovessero emergere forze che combattono sotto la bandiera dello Stato Islamico. Per i repubblicani, invece, i poteri chiesti da Obama (e che verranno usati anche dal suo successore) sono troppo limitati: escludendo offensive massicce la Casa Bianca si lega le mani da sola.
Massimo Gaggi
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