L’Isis cancella l’arte: a pezzi le statue antiche
Nel filmato le nenie religiose, assieme alle urla dei nuovi iconoclasti, coprono il fracasso della pietra infranta. Seguono le picconate contro bassorilievi, maschere di pietra, altre statue di notabili, personaggi di rilievo della civiltà dei Parti fiorita nell’odierno Iraq centro-settentrionale tra il primo e terzo secolo dopo Cristo. I distruttori si accaniscono con le mazze contro le teste, i volti, le braccia delle figure antropomorfiche. Il museo dopo pochi minuti di barbarie appare devastato, i pavimenti delle sale coperti di detriti, i muri bucati, sfregiati. Sono sufficienti pochi colpi ben assestati per cancellare vestigia di civiltà scomparse che si erano preservate per due millenni.
Ricorda le statue dei Budda di Bamyian fatte esplodere dai Talebani 14 anni fa. Ma non occorre andare in Afghanistan. A Mosul l’estate scorsa Isis ha distrutto l’antica moschea di Jona e un mese fa ha bruciato oltre 2 mila volumi «blasfemi» della biblioteca locale e dell’università. «Oh musulmani, queste statue erano idoli venerati da popoli vissuti secoli fa, prima di Maometto», grida adesso uno dei militanti brandendo la mazza come una clava. «Gli assiri, gli accadi e altri popoli inventavano gli dei della guerra, dell’agricoltura e della pioggia cui offrivano sacrifici. Il Profeta ci ordina di rimuovere queste statue, proprio come fecero i suoi primi seguaci quando conquistarono le altre nazioni», aggiunge a spiegazione. Quindi, il video indugia in una sala più buia, dove le torce illuminano la riduzione in briciole di una magnifica aquila scolpita in pietra marmorea. Non contenti, i jihadisti si accaniscono con il trapano sulle macerie. Poi la scena si trasferisce all’esterno. E il video torna a ricordarci la perizia dei cineasti di Isis. A sinistra mostrano la foto ripresa agli inizi del Novecento, quando gli archeologi portarono alla luce i celebri leoni androcefali, che gli addetti ai lavori conoscono come «Lamassu». Statue di animali con la testa di re. Si trovano numerosi a guardia delle porte lungo le mura di Ninive, l’antica capitale assira tra il nono e settimo secolo avanti Cristo, posta alla periferia della Mosul contemporanea. Sulla destra della foto ecco quindi l’immagine di un Lamassu che verrà distrutto. Il gigantesco blocco di pietra scolpita è aggredito, ferito con i trapani e le seghe elettriche. Piomba sull’erba in macigni scomposti. Era un dio resistito per quasi tremila anni, diventa un cumulo di sassi.
«Vedere queste scene crea rabbia, ma soprattutto immenso, profondo dolore», sostiene Roberta Ricciardi Venco. Archeologa, docente all’università di Torino da poco andata in pensione, sin dai primi anni Ottanta ha condotto lunghe campagne di scavi nella regione di Mosul e soprattutto ad Hatra. «La quasi totalità del materiale esposto al museo devastato viene proprio da Hatra. I reperti più importanti e massicci vennero raccolti nelle campagne di scavo degli anni Cinquanta e Sessanta. Hatra è un sito importante e magnifico, ampio oltre 300 ettari con molti resti in superficie e ben conservati. Si vedono tuttora le case, le strade, le statue, le colonne, le mura tutto attorno», spiega. Non a caso è considerata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, che ora ne chiede la protezione.
Lorenzo Cremonesi
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