Libia porta strategica degli islamisti E dietro quel varco il nostro Paese

Libia porta strategica degli islamisti E dietro quel varco il nostro Paese

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WASHINGTON Minacce e fatti. Il movimento che agita la bandiera nera ci punta: «Paolo Gentiloni è il ministro dell’Italia crociata», ammonisce al Bayan, radio di Mosul, la capitale irachena dell’Isis.

Il messaggio tornerà ancora in quanto rientra nel manifesto scritto dal Califfo e seguito da militanti libici. In questi mesi hanno ucciso centinaia di persone, vittime passate quasi sotto silenzio, ma sanno bene che la loro popolarità dipende molto dai nemici che si scelgono. Per questo evocano la «conquista di Roma», usano simboli come il Vaticano e la Torre Eiffel.
Strategia di comunicazione combinata ad azioni violente, raffiche di mitragliatrice per ribadire il segnale di guerra. Ecco allora la propaganda intensa, i toni forti nella ricerca di nuovi avversari, le teste da far rotolare. Tutto con i tempi veloci e i metodi brutali dell’Isis.
I jihadisti, sotto varie etichette, sono attivi in Libia da tempo. C’è chi ha raccolto l’eredità del vecchio «Gruppo islamico combattente libico», chi riconosce ancora il valore della Fratellanza (con i suoi sponsor esterni, dal Qatar alla Turchia) e chi ha preferito scavalcarlo creando fazioni nuove, come Ansar al Sharia.
Poi i nuovi capi, come Abu Sufian bin Qumu, ex prigioniero di Guantanamo e oggi esponente radicale a Derna. O gli «anziani»: i liberati dalle prigioni di Gheddafi, i guerriglieri del conflitto iracheno. In coda gli indecisi, pronti a saltare sul carro vincente.
Il vuoto caotico della rivolta anti-Gheddafi, il moltiplicarsi delle milizie arroccate attorno alle loro città, ha lasciato grande spazio e le correnti estreme hanno preso il sopravvento, ampliando la propria presenza nell’Est.
A ottobre il Consiglio islamico giovanile di Derna ha dichiarato la propria fedeltà al Califfo, ovvero il leader Isis al Baghdadi, e lui ha risposto riconoscendo la nuova «provincia» — Wilayat —, includendo nei confini Cirenaica, Fezzan e Tripolitania.
Un passo importante quanto formale. Un annuncio che ha aperto nuovi orizzonti: anche chi non è parte, ora può essere tentato ad unirsi alla fazione. L’opportunismo del momento unito all’attrazione rappresentata dall’Isis rischiano di coinvolgere nuovi gruppi. Si levano il «cappello» e indossano la maschera nera. L’eliminazione di un emiro può indurre i mujaheddin a cercare nuovi punti di riferimento.
Per molti il Wilayat è diventata la terza branca nord africana del movimento siro-iracheno insieme al nucleo algerino Jund al Khalifa — responsabile della morte di un ostaggio francese — e agli egiziani di Beit al Makdes, ormai feroci tagliagole.
Applicando quanto spiegato dagli ideologi Isis sul web e nella documentazione interna, gli islamisti hanno cercato di «consolidare» il territorio per poi conquistarne altro. Si parte dal basso, come è avvenuto a Raqqa e Mosul. I filo-Isis hanno introdotto regole di vita ferree a Barqa, hanno distrutto montagne di sigarette e alcolici, hanno amministrato la giustizia islamica con la consueta severità. Iniziative sempre rilanciate su Internet o altri canali per dimostrare di essere in pieno controllo.
Nel contempo i militanti hanno intensificato le operazioni militari contro i soldati del generale Haftar e la forza Sawhat (Risveglio). Fonti americane hanno segnalato la presenza di campi d’addestramento nella parte orientale del paese. Covi sorvegliati dai droni Usa dove agirebbero dei veterani dei conflitti in Siria e nel Mali. Movimenti in parallelo a quelli nel Sud, lungo le piste desertiche che portano fino al Passo di Salvador, in Niger, attraversato dai nuovi carovanieri su pick up pieni di tutto, armi comprese, e qaedisti. È allora facile comprendere perché la propaganda del Califfo definisca la Libia come «la porta strategica» sul Mediterraneo. Dietro questo varco c’è l’Italia.


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