La rabbia araba per il pilota trucidato «I terroristi vanno crocifissi e mutilati»

La rabbia araba per il pilota trucidato «I terroristi vanno crocifissi e mutilati»

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DUBAI La Giordania dichiara guerra allo Stato Islamico (Isis). È questa una delle conseguenze più dirette seguite alla diffusione del video tre giorni fa da parte dei jihadisti sunniti in Iraq e Siria in cui apparivano le immagini crude che volevano mostrare il giovane pilota giordano Muath al-Kasasbeh bruciato vivo in una gabbia di metallo. Il Medio Oriente e larga parte della comunità internazionale sono scossi da un vasto sentimento composto di orrore, condanna e volontà di reagire. Per una volta le richieste di attaccare militarmente i «criminali terroristi» di Isis giungono anche da diverse istituzioni e personalità religiose islamiche dei maggiori Paesi arabi con un fervore ben più intenso di quello espresso l’estate scorsa ai tempi degli attacchi di Isis contro Mosul, le minoranze yazide, le cittadine sciite, i curdi e cristiani.
Forte di questo consenso, re Abdallah, arrivando ieri ad Amman dopo aver interrotto di fretta la visita negli Stati Uniti, ha persino parlato della possibilità che i militari giordani possano colpire Isis «nella sua regione natale». Una mossa che apre la via ad eventuali azioni belliche in Iraq e Siria.
Primo atto concreto è stata l’esecuzione per impiccagione ieri prima dell’alba nel carcere di massima sicurezza di Swaqa della kamikaze irachena Sajida al-Rishawi assieme a Ziad Karbouli, a sua volta ex responsabile di Al Qaeda in Iraq. Una vendetta che in realtà ha valore puramente simbolico. In particolare, la Al-Rishawi, catturata nel 2005 dopo che la sua cintura esplosiva aveva fatto cilecca nel corso di un attentato kamikaze nei grandi hotel di Amman, costato oltre 60 morti, era stata indicata come possibile prigioniero da scambiare con Isis per il pilota e il giornalista giapponese Kenji Goto. Ma poi la decapitazione del giapponese e il video della morte del pilota hanno trasformato il desiderio dello scambio in determinazione di lotta. Secondo fonti curde, nelle ultime ore inoltre i jet di Amman avrebbero bombardato Isis a Mosul, in Iraq, uccidendo 55 guerriglieri. Ma la notizia va confermata. Messaggio di cordoglio e sostegno giungono da tutto il mondo. Dall’Italia il presidente Mattarella sottolinea la gravità «del crimine efferato commesso contro la vita umana» e ne vede però anche una molla per costruire il fronte unitario contro Isis.
In poche ore re Abdallah si è ritrovato a capo di una nazione più compatta che mai nell’esigere una politica aggressiva. A parlare sono ora quegli stessi capi delle tribù della «sponda orientale» che sino a pochi giorni fa prendevano nettamente le distanze dalla partecipazione giordana alle operazioni di bombardamento su Isis a guida Usa. Il monarca, assieme alla regina Rania, definiscono il pilota «il nostro eroe martire» e promettono che il «suo sangue non sarà sparso invano». Dalla tenda tradizionale delle cerimonie funebri issata a Karak, città natale della potente tribù degli al-Kasasbeh nel sud del Paese, il padre del pilota chiede «occhio per occhio». «Non possiamo più dire che quella contro Isis non è la nostra guerra. La morte di mio figlio sia il motivo di rinascita della dignità del nostro Paese», tuona sulle tv regionali.
Ieri un’autorevole voce in suo sostegno è giunta dall’università Al-Azhar del Cairo, la più importante delle istituzioni islamiche sunnite. I suoi imam chiedono di «uccidere, crocefiggere, amputare gli arti dei terroristi». Lo stesso Ahmed al-Tayeb, grande sceicco della scuola religiosa universitaria, ricorda che «l’Islam proibisce di uccidere vite innocenti». Dichiarazioni simili giungono dallo Sceicco saudita Salman al-Oudahi, il quale ricorda il divieto di dare fuoco ai prigionieri. A questo proposito si è aperto una sorta di dibattito teologico a distanza, visto che alcuni imam legati ad Isis ribadiscono che si tratta della legge del taglione: le bombe della coalizione alleata uccidono nelle fiamme le loro vittime, dunque Isis farebbe lo stesso.
Ma ora è persino lo sceicco Youssef al-Qaradawi, una delle personalità del Qatar vista come vicina ai Fratelli Musulmani, a ricordare il dettame coranico che ingiunge il rispetto dei prigionieri di guerra. Per molti aspetti però alle parole non seguono i fatti. Lasciano perplessi le recenti rivelazioni per cui l’aviazione degli Emirati Arabi Uniti ha bloccato i raid dei suoi caccia da quando il pilota giordano venne abbattuto nei cieli siriani il 24 dicembre. Il Qatar invece limita i suoi aerei a puri voli di ricognizione.
Lorenzo Cremonesi


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