La guerra delle tribù

La guerra delle tribù

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AMMAN In Medio Oriente si sfasciano gli equilibri, i confini, i parametri politici europei che avevano prevalso dalla fine dell’Impero Ottomano dopo la Prima guerra mondiale. Tornano a prevalere le antiche realtà tribali, i valori politici e sociali delle dimensioni regionali legate alle grandi famiglie, alle relazioni di parentela coi discendenti del Profeta. Lo Stato moderno così come importato dalla cultura occidentale è in crisi.
Gli esempi si sprecano. In Iraq è da tempo una verità scontata che l’unico modo per battere i jihadisti dello Stato islamico (Isis) è tornare a cooptare le tribù sunnite di Al Anbar, la regione centrale allungata dalla capitale sino al confine con Siria e Giordania. Negli anni del terrorismo qaedista dal 2005 al 2008 furono proprio gli Abu Risha, i Dulaymi, i Tikriti e via dicendo che accettarono di creare i «Comitati del Risveglio», pagati e armati dagli americani, che si batterono in prima linea. Oggi l’Isis sa bene che la sfida si consuma a casa propria, il cuore pulsante delle grandi tribù sunnite. E i suoi guerriglieri sono pronti a uccidere centinaia di giovani figli dei clan locali per costringere gli altri a restare nei loro ranghi. Nel nord del Paese le antiche tribù curde dettano il bello e cattivo tempo nelle regioni governate da Erbil. In Giordania proprio alle tradizionali tribù della «sponda orientale» del Giordano è ricorso adesso re Abdallah per lanciare un segnale di sfida ai jihadisti. In Siria lo sfascio dello Stato vede tornare in auge le lealtà tribali, le uniche sopravvissute nel regime del terrore imposto dall’Isis. In Libia, sono le tribù che ora mettono a ferro e fuoco in battaglie interne quelle province prima zittite da Gheddafi.
Lorenzo Cremonesi


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