La crisi avanza e i ricchi crescono

by redazione | 13 Febbraio 2015 13:30

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In Ita­lia la disu­gua­glianza nei red­diti è alta. Lo è nel con­fronto con la mag­gio­ranza dei paesi occi­den­tali, in par­ti­co­lare euro­pei, e lo è in base a vari indi­ca­tori di disu­gua­glianza. Anche la disu­gua­glianza nella ric­chezza accu­mu­lata – ovun­que molto più accen­tuata di quella dei red­diti – è alta seb­bene in que­sto caso il con­fronto inter­na­zio­nale sia per noi meno sfavorevole.

Que­sto stato di cose, con­tra­ria­mente a quanto spesso si afferma, non è l’esito della crisi in atto. La disu­gua­glianza alta e per­si­stente esi­ste, da noi, da più di un ven­ten­nio ed ha resi­stito agli alti (pochi) e ai bassi che la nostra eco­no­mia ha cono­sciuto in que­sto periodo. Essa è, dun­que, un nostro pro­blema strut­tu­rale (tra vari altri) che si iscrive nella ten­denza all’aggravamento delle disu­gua­glianze nel lungo periodo che non è certo esclu­siva del nostro paese, come ben docu­menta Piketty nel suo for­tu­nato Il capi­tale nel XX1 secolo.

È, però, inte­res­sante chie­dersi quale sia stato l’andamento della disu­gua­glianza (sia nei red­diti, sia nella ric­chezza) negli anni della crisi. Pur­troppo, soprat­tutto per i red­diti, non dispo­niamo di dati recenti, con­fron­ta­bili a livello inter­na­zio­nale. Quelli rac­colti dall’Ocse si fer­mano per quasi tutti i paesi al 2011; ad essi faremo rife­ri­mento, com­pa­ran­doli con quelli del 2007. Per la ric­chezza, invece, pos­siamo disporre di dati più recenti; va, comun­que, ricor­dato che i dati rela­tivi alla ric­chezza pre­sen­tano seri pro­blemi di rile­va­zione e per­ciò risul­tano meno attendibili.

In base all’indice della disu­gua­glianza più uti­liz­zato, il coef­fi­ciente di Gini, in Ita­lia la disu­gua­glianza nei red­diti dispo­ni­bili (cioè al netto delle impo­ste e inclu­sivi dei tra­sfe­ri­menti mone­tari da parte dello stato) tra il 2007 e il 2011 è cre­sciuta dal 31,7 al 32,1%. Si tratta, dun­que, di un peg­gio­ra­mento lieve (0,4 punti per­cen­tuali) infe­riore a quello di altri paesi e soprat­tutto – rife­ren­doci ai mag­giori tra gli euro­pei — di Spa­gna (2,9 punti per­cen­tuali), Fran­cia (1,6), Sve­zia (1,4), Dani­marca (1,1) e Ger­ma­nia (0,6). Anche negli Stati Uniti il peg­gio­ra­mento è stato più mar­cato (1,1).

Mal­grado ciò l’Italia con­ti­nua ad occu­pare una posi­zione poco glo­riosa nella tri­ste gra­dua­to­ria dei paesi con la più alta disu­gua­glianza. Infatti nel 2011 tra i mag­giori paesi euro­pei hanno fatto peg­gio di noi solo la Gran Bre­ta­gna (e si tratta di un fatto sto­rico) e la Spa­gna (qui, invece, la respon­sa­bi­lità è del tre­mendo impatto della crisi).

Il gene­ra­liz­zato aggra­va­mento della disu­gua­glianza nei red­diti dispo­ni­bili sarebbe stato mag­giore se il wel­fare state non avesse raf­for­zato, in quasi tutti i paesi, la sua capa­cità redi­stri­bu­tiva (almeno in base ai dati di cui dispo­niamo) limi­tando l’impatto del peg­gio­ra­mento nella disu­gua­glianza dei red­diti per­ce­piti nei vari mer­cati (incluso quello del lavoro) sulla disu­gua­glianza dei red­diti dispo­ni­bili. Ciò indica che il per­verso motore della disu­gua­glianza è col­lo­cato più all’interno dei mer­cati che non nella mac­china del wel­fare, mal­grado i suoi molti difetti.

Ad esem­pio, in Ita­lia l’indice di Gini appli­cato ai red­diti di mer­cato — prima di tas­sa­zione e redi­stri­bu­zione — è cre­sciuto di 1,1 punti, quindi quasi il tri­plo di quello nei red­diti dispo­ni­bili. Anche per effetto di que­sto aumento, esso ha rag­giunto il 50,2%, un valore dav­vero rag­guar­de­vole, assai vicino a quello degli Stati Uniti (50,6%). Anche in que­sto caso molti paesi euro­pei hanno fatto peg­gio di noi, in par­ti­co­lare la Spa­gna dove l’indice è cre­sciuto, in modo dram­ma­tico, di ben 6,1 punti.
Un rapido sguardo ai dati sulla ric­chezza (in par­ti­co­lare quelli rac­colti dal Cre­dit Suisse) mostra che negli anni della crisi la quota di ric­chezza con­cen­trata nelle mani dell’1% più ricco è cre­sciuta ovun­que, con le mode­ste ecce­zioni di Sve­zia e Stati Uniti dove è dimi­nuita di pochis­simo (0,2 e 0,5 punti per­cen­tuali, rispet­ti­va­mente). In Ita­lia quella quota è cre­sciuta di ben quat­tro punti per­cen­tuali (dal 17,7 al 21,7%), poco meno che in Spa­gna — anche in que­sto caso lea­der — e come in Dani­marca, ma più che in tutti gli altri mag­giori paesi. Mal­grado que­sto peg­gio­ra­mento – e senza dimen­ti­care che la ric­chezza dete­nuta dall’1% più ricco è comun­que molto alta – l’Italia risulta, in que­sto caso, meno disu­guale di molti altri paesi. Ciò è dovuto essen­zial­mente alla dif­fu­sione della pro­prietà della casa che con­tra­sta la con­cen­tra­zione della ric­chezza complessiva.

Una dif­fe­renza di rilievo nella dina­mica della disu­gua­glianza dei red­diti e della ric­chezza emerge con­si­de­rando che la seconda, diver­sa­mente dalla prima, negli anni pre­ce­denti la crisi era in dimi­nu­zione pres­so­ché ovun­que; la crisi ha, dun­que, avuto l’effetto di inver­tire quella ten­denza e di raf­for­zare la posi­zione dei più ric­chi. Anche que­sto dato porta alla con­clu­sione che tra disu­gua­glianza e anda­mento dell’economia non vi sono nessi siste­ma­tici. Per­ciò coloro – e sono mol­tis­simi – che nutrono la spe­ranza se non la con­vin­zione che con l’attesissimo ritorno della cre­scita eco­no­mica anche le disu­gua­glianze si atte­nue­ranno hanno ottime pro­ba­bi­lità di restare delusi. La lotta alla disu­gua­glianza richiede misure spe­ci­fi­che che, per quanto si è visto, non pos­sono riguar­dare sol­tanto il wel­fare state, ma dovreb­bero inci­dere anche, e soprat­tutto, sul fun­zio­na­mento dei mercati.

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