Jobs Act, demansionati e precari

Jobs Act, demansionati e precari

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Via ai decreti attua­tivi del Jobs Act, e come si aspet­ta­vano i più cri­tici, si rischia un aumento com­ples­sivo della pre­ca­rietà: innan­zi­tutto per­ché si libe­ra­liz­zano, a fronte di un mode­sto risar­ci­mento, i licen­zia­menti sia indi­vi­duali che col­let­tivi ille­git­timi. E poi per­ché si estende l’uso dei vou­cher (buoni lavoro, una sorta di “tic­ket restau­rant” per pre­sta­zioni total­mente al di fuori del con­tratto), non viene can­cel­lato il lavoro a chia­mata, resta il tetto dei 36 mesi per i con­tratti a ter­mine senza cau­sale. Ancora: si dà l’ok al deman­sio­na­mento, ovvero a una mag­giore ricat­ta­bi­lità. Infine si can­cel­lano il job sha­ring, gli asso­ciati in par­te­ci­pa­zione e i cococò e coco­prò. Ma que­sti ultimi sol­tanto a con­di­zione che non li si con­cor­dino nei con­tratti nazio­nali, senza chia­rire se ver­ranno eli­mi­nati anche nel pubblico.

Il pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi ieri ha spie­gato la riforma, varata dopo un con­si­glio dei mini­stri durato diverse ore, come «il giorno atteso da anni», la «rot­ta­ma­zione dei cococo e coco­pro vari», che «tor­nano ai pol­lai», la misura che «scro­sta le ren­dite di posi­zione dei soliti noti». Insomma, un atto di giu­sti­zia per una gene­ra­zione — quella dei para­su­bor­di­nati — che avrebbe aspet­tato per anni il mes­sia pronto a riscat­tarla. Ma tanti sono delusi.

Ad esem­pio il sin­da­cato, e per­fino la Cisl, che finora si era sem­pre con­te­nuta sulla riforma del lavoro. Ma è soprat­tutto la Cgil a pren­dere di petto il governo e a boc­ciare com­ple­ta­mente i decreti: «Il Jobs Act è il man­te­ni­mento delle dif­fe­renze e non la lotta alla pre­ca­rietà — dice in una nota il sin­da­cato — Il con­tratto a tutele cre­scenti è la modi­fica strut­tu­rale del tempo inde­ter­mi­nato che ora pre­vede, nel caso di licen­zia­mento ille­git­timo o col­let­tivo, che l’azienda possa licen­ziare libe­ra­mente pagando un misero indennizzo».

Sulla pre­ca­rietà, pro­se­gue la Cgil, «siamo alla con­ferma dell’esistente, se non al peg­gio­ra­mento, come nel caso del lavoro acces­so­rio (i vou­cher, ndr) e all’assurdo sulle col­la­bo­ra­zioni che si annun­ciano abo­lite dal 2016 ma comun­que sti­pu­la­bili in tanti casi, men­tre nulla si dice delle cococo della pub­blica ammi­ni­stra­zione». «Dove sarebbe la svolta? Il governo parla di diritti ma man­tiene la pre­ca­rietà, dimen­tica le par­tite Iva e regala a tutti licen­zia­menti e deman­sio­na­menti facili. Per ren­dere i lavo­ra­tori più sta­bili non biso­gna per forza ren­derli più licen­zia­bili o ricat­ta­bili». Quindi il sin­da­cato gui­dato da Susanna Camusso lan­cia una sfida per il futuro: «Quello che il governo sta togliendo e non esten­dendo ai lavo­ra­tori sta­bili e pre­cari, andrà ricon­qui­stato con la con­trat­ta­zione e con un nuovo Sta­tuto dei lavoratori».

La Cisl pro­te­sta per il fatto che il governo ha lasciato nel testo appro­vato la norma sui licen­zia­menti col­let­tivi (che sono così pari­fi­cati sostan­zial­mente agli indi­vi­duali): è «uno sba­glio». Più in gene­rale, Anna­ma­ria Fur­lan ritiene che «ci doveva essere più corag­gio sulla pre­ca­rietà»: la Cisl avrebbe voluto una «effet­tiva abo­li­zione delle forme di pre­ca­rietà dei gio­vani». «L’esultanza del pre­si­dente del con­si­glio è asso­lu­ta­mente ingiu­sti­fi­cata per­ché con que­ste norme cam­bierà poco e niente — dice Fur­lan — È impor­tante che si sia lasciato il rein­te­gro per i licen­zia­menti discri­mi­na­tori e disci­pli­nari, così come è impor­tante aver can­cel­lato dalle tipo­lo­gie con­trat­tuali gli asso­ciati in par­te­ci­pa­zione. Ma per il resto non c’è la svolta che la Cisl auspi­cava sulla effet­tiva can­cel­la­zione delle altre forme di pre­ca­rietà sel­vag­gia, sot­to­pa­gate e senza tutele pro­li­fe­rate in que­sti anni».

Per Car­melo Bar­ba­gallo (Uil), il governo «è bugiardo»: «Ave­vano pro­messo che avreb­bero can­cel­lato tutti i con­tratti di pre­ca­rietà ma non è vero. La mon­ta­gna ha par­to­rito un topolino».

Plaude ed è “gasa­tis­sima” (mutuiamo un agget­tivo ormai di moda) la Con­fin­du­stria di Gior­gio Squinzi, che come sap­piamo con Renzi “rea­lizza i suoi sogni” (altra frase cele­bre di qual­che mese fa): «La dire­zione è quella giu­sta — com­menta l’associazione — Bene che siano state con­fer­mate le norme sui licen­zia­menti col­let­tivi. Posi­tivi il rior­dino dei con­tratti e la nuova disci­plina sul muta­mento di mansioni».

Renzi però insi­ste: la pre­ca­rietà verrà scon­fitta, e «circa 200 mila ita­liani pas­se­ranno da una col­la­bo­ra­zione coor­di­nata a un lavoro a tempo inde­ter­mi­nato». Molti però temono che tante col­la­bo­ra­zioni a pro­getto — per le quali si chiede comun­que una con­ver­sione al lavoro subor­di­nato a par­tire dal 2016 — ver­ranno tra­sfor­mate invece in con­tratti pre­cari, a par­tire da un mas­sic­cio ricorso alle par­tite Iva. Par­tite Iva che, si ricorda, anche a que­sto giro non hanno avuto gli ammortizzatori.



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