BRUXELLES Promossa. Forse graziata. E però, ancora, sotto sorveglianza. Come già anticipato nei giorni scorsi, l’Italia ha ricevuto il «via libera» dalla Commissione europea per il suo piano di Stabilità 2015.
L’Ue non aprirà dunque contro Roma, come si temeva, una procedura di infrazione per il suo eccessivo debito pubblico, con le relative ammende milionarie. «Se l’esecutivo Ue avesse dovuto far rispettare la regola del debito — ha spiegato il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici — la correzione sarebbe stata «brutale e avrebbe messo in difficoltà l’intera economia». Infatti, «l’applicazione rigida della regola del debito porterebbe a una correzione di 2 punti percentuali del Pil, che sarebbe chiaramente insostenibile per un Paese che viene da 4 anni di recessione consecutivi».
Con una lettera, l’Ue chiede al governo Renzi di «continuare negli sforzi di riduzione» del debito salito fino al 132,2% del Pil. Secondo le regole Ue i governi europei devono ridurre il loro debito ogni anno di un dodicesimo della differenza tra il 60% e il livello attuale entro il 2020. Il ragionamento «clemente» dell’Ue ha però anche un’altra spiegazione, forse più concreta: Bruxelles ha tenuto conto del piano di riforme «sufficientemente consistente» presentato dal governo Renzi, del loro «effetto positivo», e in particolare della riforma del Jobs act sul mercato del lavoro.
Ma nello stesso tempo, spiega ancora il documento stilato da Moscovici e dal vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, gli squilibri macroeconomici presenti in Italia dal 2014 «sono rimasti invariati, richiedono monitoraggio specifico e decise azioni politiche» determinate.
Appunto, restiamo sotto sorveglianza: anche se nell’Europa un po’ sbilenca di oggi non è certo una condizione eccezionale. Nella fotografia più generale presentata dalla Commissione, 16 Paesi europei hanno squilibri macroeconomici, e perfino la ricca Germania vede peggiorare i propri conti.
Poi, ci sono casi diversi. Il Belgio, che pure attendeva il giudizio per oggi, ottiene come l’Italia un’assoluzione. Mentre la Francia, terzo Stato sotto la lente d’osservazione, apprenderà la sua sentenza lunedì prossimo. Ma già si sa che ha ottenuto una concessione molto importante: avrà cioè più tempo, fino al 2017, per correggere il suo deficit — che oggi sfiora il 5% del Prodotto interno lordo — e riportarlo sotto il tetto massimo del 3% fissato dalla Ue. Dovrà però limarlo dello 0,5%, lo 0,2% in più rispetto a quanto le viene accordato oggi: sembra un’inezia numerica, un francobollo, ma è invece uno sforzo finanziario non indifferente.
Tuttavia, quella dilazione temporale regalata fino al 2017 a Parigi, e la clemenza sul debito pubblico accordata all’Italia o alla Grecia, e altri segnali possibilisti inviati ai governi di altri Paesi, rivelano che le regole formalmente ferree del patto di Stabilità e di Crescita sono già state «adattate» senza troppi problemi, e con il quasi certo, tacito assenso di Berlino: 8 anni di crisi globale hanno intaccato la roccia; e anche se molti lo negano, il patto è già una cosa molto diversa da quel che era nel 2007. Ovviamente non è mai stato del tutto vero, nella Ue, che «tutti siamo uguali», ma oggi sembra esserlo ancor meno.
Luigi Offeddu